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Ampliamento locale esistente senza titolo: opera abusiva, nessun condono se c'è vincolo di inedificabilità

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Con sentenza n. 3975 del 28 giugno 2018, il Consiglio di Stato ha stabilito che l'ampliamento volumetrico a destinazione commerciale di un locale già esistente e adibito a bar, realizzato senza autorizzazione e in violazione del vincolo di inedificabilità, costituisce un abuso edilizio e non può essere condonato. Si tratta, in particolare, di un'opera abusiva identificata come tipologia 1, ossia "opere realizzate in assenza di titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame del Consiglio di Stato. La ricorrente è stata destinataria del diniego di condono ai sensi della Legge n. 326 del 24 novembre 2003 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici) per l'ampliamento volumetrico anzidetto. A sostegno di tale diniego, la Pubblica Amministrazione ha evidenziato:

  • l'esistenza del vincolo di inedificabilità;
  • che l'opera di ampliamento si è realizzata nella fascia di rispetto (100 m.) dall'impianto cittadino di depurazione delle acque;
  • che il predetto vincolo deriva dalla delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento e dal provvedimento dirigenziale provinciale definitivo.

Contro il diniego amministrativo, la ricorrente ha proposto opposizione. Il caso è giunto dinanzi al Consiglio di Stato. I Giudici amministrativi, nella fattispecie in esame, innanzitutto, riprendendo quanto già statuito dal TAR e dall'orientamento costante della giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 2013 n. 4587), affermano che l'opera realizzata dalla ricorrente costituisce un abuso ai sensi del combinato disposto dell'art. 32 (Opere costruite su aree sottoposte a vincolo),Legge n. 47 del 28 febbraio 1985 e dell'art. 32, comma 27, lett. d), D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella predetta Legge n. 326 del 24 novembre 2003. 

Tale ultima disposizione, in particolare, stabilisce che le costruzioni abusive non sono condonabili e quindi non sono suscettibili di sanatoria, quando:

  • sono realizzate su aree su cui insistono vincoli imposti da leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici;
  • tali vincoli siano stati istituiti prima della loro esecuzione;
  • sono realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio;
  • sono realizzate in violazione delle norme urbanistiche e delle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Orbene, a parere del Consiglio di Stato, l'ampliamento realizzato dalla ricorrente rientrerebbe nell'ambito della tipologia delle predette costruzioni abusive. Infatti, l'opera insiste nella fascia di rispetto adiacente all'impianto del depuratore, su cui è stato apposto un vincolo dettato dalla delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento e dal provvedimento dirigenziale provinciale definitivo. Tale vincolo è stato istituito prima dell'ultimazione dei lavori di ampliamento in questione e in assenza di qualsivoglia titolo edilizio. Proprio tale quadro, ha consentito ai Giudici di affermare che l'opera di cui stiamo discorrendo rientrasse nell'ambito delle opere abusive identificate come tipologia 1 e descritte appunto nel succitato art. 32, comma 27, Legge n. 326/2003. La considerazione di tale opera come abusiva resta ferma anche ove si rilevi che i lavori di ampliamento sono iniziati prima dell'apposizione del vincolo e sono ultimati successivamente. A parere del Consiglio di Stato, infatti, tale circostanza è irrilevante dal momento che l'opera in questione deve, comunque, essere considerata il frutto di un intervento unitario. La riprova di tutto questo è data dal fatto che per tale intervento è stata presentata una sola domanda di condono. Tanto basta per considerare l'ampliamento come abusivo nel senso appena indicato.

  D'altro canto, secondo i Giudici amministrativi, pur a voler ritenere tale opera come opera realizzata prima dell'apposizione del vincolo, la circostanza non escluderebbe, anche in tale ipotesi, il diniego di sanatoria. E questo in considerazione del fatto che il procedimento di condonabilità è caratterizzato da una concreta attività di valutazione in riferimento alla compatibilità dell'opera realizzata con le esigenze di tutela dell'area, successivamente assoggettata al predetto vincolo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 2576 del 4 maggio 2012). Con l'ovvia conseguenza che ove tale valutazione fosse negativa, ossia propendesse per la sussistenza di un'incompatibilità, il provvedimento amministrativo finale si concretizzerebbe in un vero e proprio diniego di condono. Appare evidente, pertanto, che a parere del Consiglio di Stato il diniego in esame è legittimo. E tale convincimento non viene meno neanche facendo rilevare che in casi analoghi la stessa Amministrazione ha rilasciato i titoli edilizi a sanatoria. Tale circostanza, infatti, secondo i Giudici, non può legittimare la pretesa ad ottenere un identico trattamento. E ciò in considerazione del fatto che i titoli a sanatoria sono, in via di principio, sempre atti suscettibili di annullamento giurisdizionale o amministrativo. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, quindi, il Consiglio di Stato ha respinto l'appello presentato dalla ricorrente e ha confermato la sentenza del TAR che, a sua volta, aveva ritenuto opera abusiva l'ampliamento in questione.

 

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