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Con l'ordinanza n. 4513 depositata lo scorso 21 febbraio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, ha respinto il ricorso di un padre che, obbligato coattivamente ad adempiere alla contribuzione delle spese straordinarie per i figli, eccepiva il difetto di interesse dell'ex moglie, per essere la stessa già in possesso di un titolo esecutivo, rappresentato dall'omologa della separazione personale e dalla sentenza di divorzio.
Si è difatti precisato che in materia di assegno di mantenimento, ove il coniuge onerato alla contribuzione delle spese straordinarie relative ai figli, sia pure pro quota, non adempia spontaneamente, al fine di legittimare l'esecuzione forzata, occorre adire nuovamente il giudice, affinché accerti l'effettiva sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Giudice di Pace di Udine condannava un padre a pagare all'ex coniuge la somma di euro 2.229,35 a titolo di rimborso, nella misura del 50%, delle spese straordinarie sostenute nell'interesse dei quattro figli delle parti, secondo la ripartizione stabilita nel verbale di omologa della separazione consensuale e nella sentenza di divorzio.
Alla luce di tanto l'uomo proponeva appello, chiedendo la restituzione di quanto pagato.
Il Tribunale di Udine, in funzione di giudice di Appello, rigettava l'impugnazione proposta dal padre avverso la sentenza del giudice di Pace, posto che la moglie aveva provato le voci di credito sulle varie spese sostenute, che erano state sempre oggetto di discussione e approvazione tra i coniugi e in relazione alle quali il marito aveva già, in passato, versato talune somme.
Ad avviso del giudice di secondo grado, inoltre, era infondata l'eccezione sollevata dal padre in merito al difetto d'interesse dell'attrice, già in possesso di titolo esecutivo, posto che – per giurisprudenza consolidata - ove l'inadempienza si riferisca all'obbligo di contribuzione alle spese straordinarie sostenute nell'interesse dei figli, si rende necessaria l'acquisizione di un titolo esecutivo specifico.
Ricorrendo in Cassazione, il padre censurava la decisione del giudice di secondo grado, rilevando la carenza di interesse della donna a proporre la domanda, in quanto possedeva già il titolo esecutivo costituito dall'omologa della separazione personale e dalla sentenza di divorzio.
A tal riguardo, il ricorrente riportava un orientamento giurisprudenziale secondo cui il provvedimento con il quale, in sede di separazione, si stabilisce che il genitore non affidatario paghi, sia pure "pro quota", le spese mediche e scolastiche ordinarie relative ai figli costituisce idoneo titolo esecutivo e non richiede un ulteriore intervento del giudice in sede di cognizione, qualora il genitore creditore possa allegare e documentare l'effettiva sopravvenienza degli esborsi indicati nel titolo e la relativa entità, salvo il diritto dell'altro coniuge di contestare l'esistenza del credito per la non riconducibilità degli esborsi a spese necessarie o per violazione delle modalità d'individuazione dei bisogni del minore.
La Cassazione non condivide la censura formulata dalla ricorrente.
In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che in materia di assegno di mantenimento, nel caso in cui il coniuge onerato alla contribuzione delle spese straordinarie, sia pure pro quota, non adempia, al fine di legittimare l'esecuzione forzata, occorre adire nuovamente il giudice affinché accerti l'effettiva sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità.
Tale principio non si pone in contrasto con la giurisprudenza richiamata dal ricorrente, posto che non esclude l'accertamento giudiziale a cognizione piena sulla debenza e quantificazione delle somme.
Dall'esame delle diverse posizioni della giurisprudenza di legittimità emerge, quindi, la pluralità di forme di tutela giudiziale rimesse alla parte creditrice a fronte dell'inadempimento del genitore obbligato, senza escludere la legittimità della scelta quando si ritenga necessario un accertamento a cognizione piena a fronte delle prevedibili contestazioni di controparte, nella specie effettivamente verificatesi.
Alla luce di tanto e con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini escludono che la donna avesse un difetto d'interesse per la scelta effettuata fin dall'inizio del giudizio di accertamento del proprio credito; altrettanto infondato era il rischio di duplicazione di titoli esecutivi, comunque evidenziabile nei giudizi di opposizione esecutiva.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dello Stato delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.
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