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Non commette appropriazione indebita il pensionato che per errore continua a percepire lo stipendio

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 I giudici della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza del 26 febbraio 2019, n. 8459, hanno affermato il principio che nell'ipotesi di erronea corresponsione dello stipendio al dipendente che è entrato in pensione, non si configura il reato di appropriazione indebita ma semplicemente un illecito civile.

I Fatti

Un ex dipendente, nonostante sia andato in quiescenza, continuava a percepire regolarmente, con accredito sul proprio conto corrente bancario, lo stipendio. Per tale suo comportamento veniva chiamato a rispondere del reato di appropriazione indebita ex art 646 c.p.

 Il Tribunale di Pordenone lo condannava con il riconoscimento a suo carico dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 e n. 11 c.p.La sentenza emessa dal giudice di primo grado veniva appellata ela Corte di Appello di Trieste in parziale riforma della sentenza di condanna emessa del Tribunale di Pordenone, escludendo la aggravante di cui al n. 9 dell'art. 61 c.p. diminuiva la pena. Avverso tale decisione l'imputato proponeva ricorso avanti la Corte di cassazione.

Con il primo motivo del mezzo di impugnazione il ricorrente deduceva il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 15, 646 e 647 c.p., in quanto la fattispecie in esame, in mancanza di atto di querela, in violazione del principio di specialità la condotta in parola dovesse rientrare nella previsione di cui al D.Lgs. n. 7 del 2016, art. 4, comma 1, lett. f) che prevede una sanzione assimilabile a quella penale ovvero una sanzione amministrativa che, dovrebbe essere applicata in luogo dell'art. 646 c.p., dovendosi escludere in ogni caso, ex art. 2 c.p., la rilevanza penale del fatto.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce i vizi di violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11. Secondo la difesa del ricorrente la erogazione dello stipendio era scaturita da un errore di comunicazione tra la Direzione generale del Lavoro e la Ragioneria territoriale dello Stato, con la conseguenza che data l'ipotizzabilità dell'appropriazione indebita semplice, il reato sarebbe improcedibile per mancanza di querela.

Con il terzo motivo il ricorrente deduceva la violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione avuto riguardo alla condotta appropriativa. Secondo il ricorrente, data la confusione del denaro, bene fungibile, con il patrimonio dell'accipiens, si potrebbe ipotizzare solo un'azione civile di indebito arricchimento ex art. 2033 c.c senza alcun rilievo di carattere penale.

 Motivazione

Il ricorso è stato ritenuto fondato dai giudici della Seconda Sezione.

I giudici di legittimità, accogliendo la tesi della difesa del ricorrente hanno affermato che il fatto non presenta i caratteri di illiceità penale per mancanza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 646 c.p. e ciò in quanto " ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia appunto il denaro, è necessario che l'agente violi, attraverso l'utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna, non essendo sufficiente il semplice inadempimento all'obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute (Sez. 2, n. 15815/2017, Rv. 269462; Sez. 2 n. 50672/2017, Rv. 271385; Sez. 2, n. 24857/2017, Rv. 270092)."

Nel caso di specie, affermano i giudici di legittimità con il bonifico bancario operato dall'Ente erogatore dello stipendio si è determinato il trasferimento del denaro sul conto corrente dell'imputato i cui atti dispositivi non possono considerarsi dimostrativi dell'interversio possessionis trattandosi di bene entrato nel patrimonio dell'accipiens, senza destinazione di scopo e configurandosi, in tal caso, solo un obbligo di restituzione dell'indebito. Non potendosi quindi individuare nella somma di denaro così erogata alcun vincolo di impiego, si deve concludere per l'assoluta irrilevanza penale della condotta e propendere per un illecito civile che comporta l'obbligo di restituzione dell'indebito.

Si allega sentenza.

 

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