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L’amministratore condominiale ha diritto al risarcimento del danno per lesione della reputazione?

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Riferimenti normativi: Artt.2043-2059 c.c. - Art.595 c.p.

Focus: L'operato dell'amministratore di condomìnio è spesso oggetto di critiche, inerenti irregolarità contabili e gravi carenze di gestione, che minano la sua reputazione. La lesione della propria reputazione personale e professionale legittima l'amministratore a pretendere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall'illecita condotta dei condòmini o di terzi. Nonostante ciò, l'amministratore non ha sempre diritto al risarcimento del danno da lesione alla reputazione. In tal senso si è espresso il Tribunale di Pisa con la sentenza n.939 del 6 luglio 2022.

Principi generali: È noto, in generale, che offendere la reputazione di un'altra persona quando questa non sia presente o, comunque, non sia in grado di percepire l'offesa, configura il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) a causa del discredito arrecato agli occhi di terzi. In ambito condominiale, in particolare, risponde di diffamazione chi accusa senza prove l'amministratore di condomìnio di una gestione poco chiara dei soldi ovvero di essersi appropriato di liquidità del condomìnio per esigenze personali (Corte di Cassazione, sentenza n. 11913/2020). Il Tribunale di Pisa con la sentenza n.939 del 6 luglio 2022 ha affrontato il caso di un ex amministratore che ha citato in giudizio il suo successore chiedendo, ai sensi degli articoli 2043-2059 c.c., la somma di €10.000,00 euro o la diversa somma di giustizia liquidata dal Tribunale con valutazione equitativa, ex artt. 1226-2056 c.c., per il risarcimento del danno subito per lesione della propria reputazione.

L'attore, che aveva rivestito il ruolo di amministratore del condomìnio fino a quando, nel 2015, l'assemblea gli aveva revocato l'incarico, nell'atto di citazione ha rappresentato che il nuovo amministratore, convenuto in giudizio, gli aveva inviato una lettera con la quale non lo aveva qualificato col giusto titolo di professore e nemmeno con quello di signore, ma con il solo cognome. Inoltre, il convenuto, nelle note al bilancio redatto ed approvato dall'assemblea condominiale, aveva scritto: "per i prelievi contante eseguiti dall'amministratore, sono stati eseguiti prelievi in due date distinte per un totale di 700,00 euro. In merito a questi prelievi, non avendo altre pezze giustificative se non le dichiarazioni dell'ex amministratore, sono stati imputati a spese per invio raccomandate per 652,66 euro. I rimanenti 47,34 euro non avendo giustificativi, riteniamo siano in mano dell'amministratore". Secondo l'attore tali espressioni, prive di fondamento, avevano leso la sua reputazione integrando un'accusa di appropriazione indebita. In conseguenza di ciò aveva sofferto un grave danno perché era stata incrinata la considerazione e la stima di cui aveva sempre goduto come uomo e come professionista, tenuto conto, peraltro, che presso il condomìnio abita la figlia.

Il convenuto chiedeva, in via principale, il rigetto della domanda e la condanna dell'attore al pagamento, ex art. 96 c.p.c. di una somma equitativamente determinata, stante la pretestuosità dell'azione. In particolare, riguardo alla mancanza dell'appellativo Signore o Professore, sosteneva che si era trattato di una mera dimenticanza senza intento offensivo. Con riferimento all'espressione "I rimanenti 47,34 euro non avendo giustificativi, riteniamo siano in mano dell'amministratore", evidenziava che non sussistevano gli estremi della lesione alla reputazione, atteso che doveva esporre una situazione contabile in presenza di un oggettivo difetto di giustificativo. In ogni caso invocava l'esimente del diritto di criticaIl Tribunale, decidendo nel merito, ha rilevato che la domanda non meritava accoglimento. Ha ritenuto che la mancata indicazione del titolo di studio o dell'appellativo "signore" nella corrispondenza intercorsa tra professionisti, strumentale al passaggio di consegne, era una questione di mera etichetta. In quanto alla frase incriminata contenuta nella relazione al bilancio, non è stata ravvisata la natura diffamatoria della stessa, a differenza di quanto ritenuto dall'attore. Infatti, poiché la frase si collocava nel contesto della nota a bilancio, essa era volta solo a rappresentare ai condòmini, con spirito critico, l'operato del predecessore. Il giudice, a tal proposito, ha richiamato i criteri che regolano il bilanciamento tra i diritti costituzionalmente garantiti coinvolti, ossia da un lato il diritto di cronaca/critica, quale estrinsecazione della libera manifestazione del pensiero, e dall'altro quello all'onore e alla reputazione. Su quest'ultimo prevale il diritto di critica, a condizione che siano rispettati i limiti della continenza, della verità dei fatti attribuiti e della pertinenza. Considerato ciò, lo stesso ha rilevato che nel caso in esame mancavano i presupposti dell'illecito in quanto la frase era stata formulata in forma dubitativa e non evidenziava alcuna condotta di appropriazione indebita, bensì l'impossibilità di ricostruire alcune voci di uscita. Di conseguenza, il giudice ha rigettato la domanda di risarcimento avanzata dall'ex amministratore condannandolo alle spese di lite. 

 

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