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Nella cartella di pagamento l’emittente deve far riferimento diretto e specifico all’atto fiscale che l’ha preceduta?

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Riferimenti normativi: Artt. 3 L.n.241/1990 e 7-17 L. n.212/2000

Focus: La cartella di pagamento deve contenere elementi utili per il destinatario al fine di tutelarsi dalle richieste avanzate dall'Ente impositore. Pertanto, nel caso in cui la cartella scaturisca da un atto pregresso, quale un avviso di accertamento o una sentenza, deve esserne fatto riferimento nella motivazione della stessa?

Principi generali: L'obbligo di motivazione della cartella di pagamento è un principio riconosciuto dalla Corte di Cassazione (ordinanze nn.16853/ 2021;16854/2021) il cui fondamento giuridico risiede nel combinato disposto degli artt. 3 della L. 241/1990 e 7 della L.n.212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente). La Corte di Cassazione, con Ordinanza n.27869 del 22 settembre 2022, ha ribadito il principio secondo cui nella motivazione della cartella deve essere contenuto il riferimento diretto e specifico al prodromico atto fiscale e/o alla sentenza che lo ha reso definitivo.

Il caso: Nella fattispecie una società contribuente impugnava una cartella di pagamento per IVA 2003, 2004 e 2006, perché priva di motivazione in quanto non consentiva di individuare l'avviso di accertamento o il provvedimento giurisdizionale di riferimento. 

Sia in primo che in secondo grado i giudici tributari si pronunciavano in senso sfavorevole alla società contribuente. In particolare, la Commissione tributaria regionale rigettava l'appello della società ritenendo che quest'ultima avrebbe dovuto opporsi agli atti prodromici. La sentenza veniva impugnata dalla società innanzi alla Corte di Cassazione la quale ha cassato la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale, osservando che i giudici di appello non avevano considerato, nel caso di specie, che gli atti prodromici ai quali la contribuente avrebbe dovuto opporsi non risultavano concretamente indicati nella cartella, né avevano escluso l'esistenza di vizi propri dell'impugnata cartella poiché avevano omesso di verificare ed indicare la concreta sussistenza degli atti presupposti impugnabili. La Commissione tributaria regionale adita in sede di rinvio ha accolto, invece, l'appello della società contribuente. In particolare, il Giudice del rinvio ha accertato che: a) la cartella era il primo atto con il quale era stata portata a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria definitiva; b) la cartella era priva di motivazione, in quanto priva degli elementi indispensabili per consentire il controllo della pretesa impositiva ivi indicata, non essendo stati indicati gli estremi dell'atto presupposto sulla base del quale era stata emessa e senza indicazione degli importi per ciascun periodo di imposta. 

Di conseguenza, l'Ufficio proponeva ricorso per Cassazione lamentando la violazione dell'art. 1309 cod. civ., nonché dell'art. 25 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, perché la sentenza non aveva tenuto conto del fatto che: il credito traeva origine da dichiarazioni rese dalla parte nell'ambito di un processo verbale di constatazione, che erano state notificate tre comunicazioni con l'indicazione degli importi liquidati e che la parte contribuente aveva reso dichiarazioni confessorie in sede di ricorso di primo grado, per cui la pretesa tributaria sarebbe stata sostanzialmente conosciuta dalla società. A fronte delle deduzioni del ricorrente, la Corte Suprema ha richiamato il principio di diritto, enunciato dalle sezioni unite della stessa, secondo il quale la cartella di pagamento deve contenere i riferimenti diretti e specifici all'atto prodromico che lo ha reso definitivo (Cassazione, Sezioni Unite, 14 luglio 2022, n. 22281). Nel caso di specie, il giudice del rinvio aveva accertato che la cartella impugnata risultava <<sguarnita di qualsivoglia minimo riferimento ad altri eventuali atti precedentemente notificati […] ed era dato leggere solo la generica causale "iscrizione a ruolo a seguito di accertamento" e l'indicazione degli importi richiesti a titolo di IVA, sanzioni e interessi, per più anni, ma senza la specificazione, a fianco di ciascun importo, del singolo anno di riferimento>>. Pertanto, alla luce di tale principio, i giudici di legittimità hanno riconosciuto corretto l'operato del giudice del rinvio ed hanno rigettato il ricorso dell'Ufficio. 

 

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