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Nel processo tributario il giudice è tenuto a rideterminare la pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria se ne ravvisa l’infondatezza parziale?

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Riferimenti normativi: Art.36 bis D.P.R.n.600/73 – art.54 bis D.P.R.n.633/72

Focus: Nel processo tributario nei casi in cui il giudice ravvisa l'infondatezza parziale della pretesa impositiva dell'Amministrazione finanziaria non può limitarsi ad annullare l'atto impositivo ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dalla domanda delle parti.

Principi generali: Secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione il processo tributario non è finalizzato esclusivamente all'impugnazione di un atto impositivo per l'annullamento dello stesso ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell'accertamento dell'Ufficio, con la quale il giudice ha il compito di provvedere anche al ricalcolo del reddito, a differenza di quanto avveniva in passato in cui ciò era demandato all'Agenzia delle Entrate (Cass., sentenze n.25629/2018; n. 27560/2018). La questione è stata nuovamente affrontata dalla Corte Suprema con l'Ordinanza n.39660/5 del 13/12/2021. Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una società quattro cartelle di pagamento per imposte II.DD. e IVA, anni 2003 e 2004. La società aveva impugnato le cartelle di pagamento, con distinti ricorsi, dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado per lo sgravio parziale delle imposte II.DD. e IVA, scaturite da iscrizione a ruolo degli avvisi di accertamenti degli anni di imposta 2003 e 2004, nonché per lo sgravio del recupero delle imposte per l'anno 2004, scaturito dal controllo automatizzato II.DD., ex artt.36 bis del D.P.R.n.600/73e I.v.a., ex 54 bis del D.P.R.n.633/1972. Aveva, altresì, impugnato le cartelle rinotificate nel 2008.

I primi due ricorsi, previa loro riunione, venivano accolti parzialmente dal giudice di primo grado che con sentenza rigettava la domanda della società per la parte residua delle cartelle di pagamento; gli altri ricorsi, afferenti le cartelle rinotificate, venivano accolti dal giudice con altra sentenza in cui si riteneva sussistente una duplicazione di imposizione fiscale. Le sentenze venivano impugnate dalla società dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, riuniti i ricorsi, accoglieva l'appello annullando le cartelle impugnate. L'Agenzia delle Entrate impugnava detta sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, seguita poi dal ricorso incidentale dell'agente di riscossione. Essa eccepiva, da un lato, la extrapetizione e contraddittoria valutazione dei giudici di appello circa gli effetti derivanti nel giudizio dalla sentenza di primo grado, relativa agli avvisi di accertamento presupposti alle cartelle impugnate, dall'altro eccepiva trattarsi di motivazione apparente per supposto vizio di ne bis in idem circa le due cartelle opposte rinotificate alla società.Dalla lettura della sentenza impugnata si rilevava che il giudice di appello aveva dato un peso decisivo alla sentenza di primo grado la quale aveva riformato la pretesa impositiva, scaturente dagli avvisi di accertamento sottostanti a tre cartelle, non annullandola ma solo riducendola; nonostante ciò il giudice di secondo grado aveva annullato per intero le cartelle senza adeguata motivazione.

In particolare, anche se la parte contribuente rispetto alle cartelle aveva sollevato eccezioni di carattere solo formale (mancata identificazione del responsabile del procedimento, mancata sottoscrizione da parte del responsabile del procedimento, difetto di motivazione, illegittimità della iscrizione parziale per l'illegittimità degli accertamenti presupposti) il giudice di seconde cure non aveva rispettato il principio ribadito dalla giurisprudenza secondo cui << in ragione della natura di impugnazione-merito del processo tributario e del rispetto dei principi del giusto processo diretti a contenere i tempi della giustizia di cui agli artt.111 Cost., 47 CDFUE e 6 CEDU, il giudice, ove ritenga invalido l'avviso di accertamento, per motivi non formali ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte >> (Cass., sez. 5 , Ordinanza n. 18777 del 10/09/2020; Cass. sentenze n.7695/2020, n.3080/2021). Nel caso di specie è stata richiamata la giurisprudenza di legittimità che aveva già affermato, sia pure in casi diversi dal presente, che il principio non vale solo allorquando è impugnato un avviso di accertamento annullato per motivi di merito ma anche quando nel giudizio viene accertata l'esistenza di una invalidità derivata, per ragioni di merito, dell'atto consequenziale impugnato. Pertanto, sulla base del principio di diritto sopra richiamato, il giudice d'appello non avrebbe potuto annullare integralmente le cartelle di pagamento, impugnate in conseguenza della riduzione delle riprese fiscali sulla base di un intervenuto sopravvenuto titolo giudiziale, ma avrebbe dovuto rideterminarle nella misura corretta, pari alla differenza tra l'iniziale importo e l'oggetto dello sgravio cristallizzato con la sopravvenuta sentenza definitiva della commissione tributaria provinciale. Non essendo ciò avvenuto, i giudici di legittimità hanno ritenuto viziata la motivazione della sentenza impugnata per intrinseca contraddittorietà. Di conseguenza, essi hanno accolto il ricorso dell'Amministrazione finanziaria cassando la sentenza impugnata e rinviando la controversia per il riesame alla stessa commissione tributaria regionale in diversa composizione.


 

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