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Medico del lavoro: quando risponde di omicidio colposo per la morte di un lavoratore?

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Con la sentenza n. 19856 dello scorso 2 luglio, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, ha cassato una sentenza di condanna emessa verso un medico del lavoro, ritenuto responsabile di omicidio colposo per non avere correttamente valutato, per colpa, la gravità del quadro clinico emergente dalle visite periodiche eseguite negli anni su un lavoratore.

Si è infatti ribadito che "il medico competente può rispondere, nella qualità di titolare di un'autonoma posizione di garanzia delle fattispecie di evento che risultano di volta in volta integrate dall'omissione colposa delle regole cautelari poste a presidio della salvaguardia del bene giuridico – salute dei lavoratori – sui luoghi di lavoro, direttamente riconducibili alla sua specifica funzione di controllo delle fonti di pericolo istituzionalmente attribuitagli dall'ordinamento giuridico".

Il caso sottoposto all'esame della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un medico del lavoro, accusato di omicidio colposo per aver cagionato la morte di un dipendente della ditta presso cui svolgeva la sua attività.

In particolare, si imputava al camice bianco di essere incorso in un errore diagnostico per non avere correttamente valutato, per colpa, la gravità del quadro clinico emergente dalle visite periodiche eseguite negli anni sul lavoratore e, in particolare, dagli esami ematochimici da cui risultava una grave forma di leucopenia e di piastrinopenia e, conseguentemente, per non avere comunicato al lavoratore e al medico curante la situazione allarmante sul suo stato di salute che di lì a poco lo avrebbe portato alla morte; gli si rimproverava, altresì, di non avere espresso un giudizio di inidoneità al lavoro.

Alla luce di tanto, sia Tribunale di Como che la Corte di Appello di Milanodichiaravano l'imputato, nella qualità di medico del lavoro, responsabile del reato di cui all'art. 590 sexies c.p. e lo condannavano alla pena di giustizia.

Il sanitario ricorreva in Cassazione, lamentando vizio motivazionale e l'inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione al nesso di causalità e al giudizio controfattuale. 

 Il ricorrente evidenziava la correttezza del suo operato per essersi accertato dello stato di salute del lavoratore, nell'ambito dei compiti al medesimo assegnati, in relazione alla sua qualifica di medico competente, e di avere correttamente formulato i giudizi di idoneità al lavoro tenendo conto delle mansioni che gli risultavano.

La Cassazione condivide la doglianza del ricorrente.

La Corte premette che il medico competente, quale collaboratore che coadiuva l'imprenditore nell'esercizio dei suoi obblighi prevenzionali, è tenuto a:
- effettuare la sorveglianza sanitaria, ovvero l'insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute dei lavoratori, in relazione all'ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionale e alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. A tal fine, redige i protocolli sanitari, calibrati sui rischi specifici, tenendo conto degli indirizzi scientifici più avanzati e dello stato generale di salute del lavoratore;

-cooperare con il datore di lavoro alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori ai rischi;

-informare i lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività.

In caso di inottemperanza alle prescrizioni di cui al d.lgs. 81/08, si configurano illeciti di pura omissione, in quanto puniscono il mancato assolvimento dei singoli obblighi gravanti sul medico; inoltre, il medico competente risponde, nella qualità di titolare di un'autonoma posizione di garanzia, delle fattispecie di evento che risultano di volta in volta integrate dall'omissione colposa delle regole cautelari poste a presidio della salvaguardia del bene giuridico - salute dei lavoratori - sui luoghi di lavoro, direttamente riconducibili alla sua specifica funzione di controllo delle fonti di pericolo istituzionalmente attribuitagli dall'ordinamento giuridico.

Con specifico riferimento al caso di specie, si è accertato che il medico aveva provveduto a consegnare i risultati delle analisi al lavoratore, consigliandogli di recarsi dal medico curante per ulteriori approfondimenti diagnostici; non è prevista, al riguardo, alcuna interlocuzione diretta da parte del medico competente nei confronti del medico curante del lavoratore, cosicché nessun rimprovero a tale titolo può essergli addebitato.

Ciò premesso, gli Ermellini evidenziano come la statuizione di condanna sia affetta sia dal vizio di violazione di legge che dalle dedotte inconferenze motivazionali, non essendo stato adeguatamente sviluppato il tema volto a verificare se, nello svolgimento delle visite periodiche eseguite dal medico, sulla base delle effettive conoscenze, sia cliniche che di lavoro, fosse ravvisabile, a suo carico, la sussistenza di una condotta colposa tenuto conto dei doveri cautelari attribuitigli dall'ordinamento giuridico in ragione della sua specifica posizione di garanzia rivestita.

Nessun accertamento di tal tipo è stato effettuato nel caso di specie, ragion per cui la Cassazione accoglie il ricorso, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Milano. 

 

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