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Con l'ordinanza n. 30727 dello scorso 28 novembre, la III sezione civile della Corte di Cassazione, ha ritenuto fondata la richiesta di risarcimento danni avanzata da una coppia di coniugi avverso un ginecologo per non aver, nel corso di un esame ecografico sul figlio nascituro, diagnosticato la grave malformazione di cui era affetto.
Si è, infatti, specificato che il sanitario che abbia formulato una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, proprio in ragione dell'esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza.
Il caso sottoposto al giudizio della Corte prende avvio da una richiesta di risarcimento danni avanzata dai genitori di un bambino nato con grave malformazione, consistente in una connotata da marcata asimmetria facciale, nonché nella completa assenza del padiglione auricolare destro.
Gli attori si dolevano perché, in occasione dell'esame ecografico di secondo livello, il ginecologo non aveva diagnosticato la malformazione, provocando in loro un grave trauma psichico, in quanto – alla nascita del figlio – avevano dovuto far fronte alla inattesa malattia.
Il Tribunale di Cassino rigettava la domanda sia perché gli attori non avevano dimostrato che, se fossero stati informati della sindrome da cui era affetto figlio, si sarebbero avvalsi della facoltà di interrompere la gravidanza, sia perché gli accertamenti peritali avevano confermato la correttezza dell'operato del sanitario nell'esecuzione dell'ecografia.
I genitori proponevano appello, rimarcando come la posizione in cui si trovava il feto nel corso dell'ecografia costituiva un fattore limitante dell'esame ed imponeva ulteriori accertamenti.
La Corte di Appello di Roma confermava la decisione e, avallando il percorso motivazionale del giudice di primo grado, evidenziava come la CTU avesse rilevato non solo la corretta esecuzione della ecografia, ma anche la circostanza per cui, nel caso in esame non ricorrevano elementi di rischio o di sospetto tali da indicare la necessità di accertamenti ecografici più specifici, al fine di indagare le anomalie della faccia e individuare l'eventuale presenza della malformazione da cui è poi risultato affetto il bambino.
Gli originari attori, proponendo ricorso per Cassazione, si dolevano per la violazione e falsa applicazione dell'art. 1176 c.c., deducendo come non si fosse valutata l'attività dell'ecografista alla luce dei parametri di diligenza specificamente richiesti per la medesima attività, facendo riferimento anche alle linee guida applicabili al momento dell'esecuzione dell'ecografia censurata, che prescrivevano come – anche alla luce della posizione assunta dal feto – si sarebbero dovuti scansionare la colonna vertebrale, visualizzare le orbite e esaminare l'estremo cefalico.
La Cassazione condivide le tesi difensive dei ricorrenti inerenti alla mancata considerazione delle regole di diligenza esigibili dal professionista.
La Corte ricorda come, in tema di responsabilità del medico chirurgo, la diligenza nell'adempimento della prestazione professionale deve essere valutata assumendo a parametro la condotta del debitore qualificato, ex art. 1176, comma 2 c.c., con la conseguenza che, in presenza di paziente con sintomi aspecifici, il sanitarlo è tenuto a prenderne in considerazione tutti i possibili significati ed a segnalare le alternative ipotesi diagnostiche.
In particolare, con specifico riferimento alla diligenza del medico ecografista prenatale, gli Ermellini evidenziano che il sanitario che abbia formulato una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, proprio in ragione dell'esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti. Al riguardo, la sentenza in commento specifica che la prova – incombente sulla parte attrice, di dimostrare che, se informata, avrebbe interrotto la gravidanza – è di natura presuntiva quanto al grave pericolo per la salute psichica della donna, che costituisce la condizione richiesta dalla legge per l'interruzione di gravidanza.
Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata non ha minimamente analizzato i rilievi prospettati dagli appellanti come fattori limitanti l'indagine, limitandosi a sostenere che tali fattori non implicavano accertamenti ulteriori: tale ragionamento, tuttavia, non è in sintonia con una corretta e adeguata valutazione della diligenza dell'ecografista, soprattutto se si considera che proprio la posizione assunta dal feto impediva l'esame del profilo facciale destro ove, maggiormente, si sono poi evidenziate le gravi malformazioni.
In virtù di tanto, la Cassazione rigetta il ricorso. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
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