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La rilevanza del comportamento dell'avvocato nella valutazione dell'illecito disciplinare

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Fonte: https://www.consiglionazionaleforense.it/

In più occasioni il Consiglio Nazionale Forense ha sottolineato la rilevanza disciplinare della condotta tenuta dall'avvocato non solo nello svolgimento dell'attività professionale, ma anche nell'ambito della vita privata.

Il comportamento dell'avvocato rileva innanzitutto ai fini della tutela del prestigio della classe forense. Per la giurisprudenza disciplinare, infatti, il comportamento dell'avvocato deve essere adeguato al prestigio della classe forense, che impone comportamenti individuali ispirati a valori positivi, immuni da ogni possibile giudizio di biasimo, etico, civile o morale. Per tale motivo ad es. nell'ipotesi in cui l'avvocato che non provveda al puntuale adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti dei terzi ex art. 64 cdf commette e consuma illecito deontologico a prescindere dalla natura privata o meno del debito. A questo riguardo il Consiglio ha precisato che il pagamento delle proprie obbligazioni costituisce un onere sia di natura deontologica che di natura giuridica finalizzato a tutelare l'affidamento dei terzi nella capacità dell'avvocato al rispetto dei propri doveri professionali. Ne deriva che nel caso di inadempimento da parte dell'avvocato alle proprie obbligazioni, conseguirebbe una pubblicità negativa che si rifletterebbe non solo sulla reputazione del professionista, ma ancor di più sull'immagine della classe forense.

Sulla base di questi principi il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso presentato dall'avvocato sanzionato con la censura per non aver rispettato l'accordo in base al quale si era impegnato personalmente a risarcire il danno cagionato al proprio cliente per non aver mai iniziato alcuna procedura per il recupero di un credito che nel frattempo si era prescritto (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.251 del 14 novembre 2023). 

Nell'ambito di un procedimento disciplinare rileva il comportamento complessivo dell'avvocato incolpato di una violazione deontologica. Infatti a norma dell'art.21 cdf "Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato; la sanzione è unica anche quando siano contestati più addebiti nell'ambito del medesimo procedimento." Ne discende che il comportamento complessivo dell'incolpato costituisce l'oggetto di valutazione nel procedimento disciplinare, sia al fine di valutare la sua condotta in generale, sia al fine di infliggere la sanzione più adeguata che non potrà se non essere l'unica nell'ambito dello stesso procedimento, nonostante possano essere molteplici le condotte lesive poste in essere. Sul punto il Consiglio ha precisato che la sanzione non è la somma di molteplici pene singole sui vari addebiti contestati, ma viene stabilita a seguito di una valutazione complessiva del soggetto interessato, in considerazione dei parametri sanciti nell'art.21 commi 3 e 4) quali:

  • la gravità del fatto,
  • il grado della colpa,
  • l'eventuale sussistenza del dolo e della sua intensità,
  • il comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, oggettive e soggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione,
  • il pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente,
  • la compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale dell'incolpato e dei suoi precedenti disciplinari.

Alla luce di questi principi il Consiglio ha respinto il ricorso dell'avvocato avverso il provvedimento con cui il CDD ha irrogato nei suoi confronti la sanzione della censura per aver chiesto somme non dovute perché già ricomprese nel contratto di consulenza professionale o manifestamente sproporzionate rispetto all'attività svolta, in violazione dei doveri di lealtà, dignità, decoro, indipendenza ex art.9 e dell'art. 29, commi quarto e quinto (richiesta di pagamento) cdf (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.279 del 5 dicembre 2023). 

I su ricordati parametri oltre che a concorrere alla valutazione del comportamento complessivo dell'incolpato, rilevano altresì ai fini della determinazione della sanzione. A tal proposito il Consiglio ha affermato che la resipiscenza e il buon comportamento dell'incolpato successivo al fatto possono ridurre nella misura la sanzione irrogata qualora, l'incolpato dimostri consapevolezza del proprio errore ed il suo comportamento successivo al fatto indichi un riallineamento alla correttezza della condotta.

Ad es. in un caso sottoposto al Consiglio Nazionale Forense l'incolpato è stato sanzionato con la sospensione dall'esercizio della professione forense per cinque anni per lo svolgimento non corretto delle funzioni di curatore cui si è accompagna la sottrazione di somme alla procedura fallimentare. Nonostante la gravità delle violazioni commesse, il Consiglio ha ritenuto opportuna l'applicazione di una sanzione meno afflittiva rilevando che la resipiscenza e il buon comportamento dell'avvocato siano emersi da vari elementi, quali la restituzione delle somme sottratte, nonché dalla nota indirizzata al Presidente del Coa in cui il professionista ha espresso lealmente il rammarico di avere, con il proprio comportamento, "creato ombre sulla professione" (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.244 del 14 novembre 2023). 

 

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