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Alè Ale, torna a ballare! Incredibile gara di solidarietà per la raccolta fondi a sostegno della costosa terapia, unica speranza per la 47enne romana
Per scegliere di fare flamenco bisogna aver voglia di tirare fuori chi si è veramente. Che non è così scontato. Flamenco significa presenza: bisogna avere il coraggio di esserci e di mostrarsi per quello che si è, per ciò che si vuole. Muoversi a tempo di musica, trovare l'armonia tra i gesti e la melodia, riuscendo a esprimere le emozioni con il corpo è un percorso che riempie la vita e diventa il centro dell'esistenza. Ne sa qualcosa Alessandra Capone, 47enne romana con una grande passione per il ballo. Non l'ha fermata nemmeno un tumore al seno aggressivo, contro cui combatte dal 2010, quando si sottopone ad una operazione chirurgica e ai protocolli tradizionali, dalle chemio alle radioterapie intraoperatorie. Una routine che tante, troppe donne sono costrette ad affrontare. Nel 2015, quando il peggio sembrava passato, si manifesta una recidiva e gli accertamenti rivelano la presenza di metastasi al fegato e ai linfonodi. "Nel 2016 faccio la prima termoablazione al fegato che poi ripeterò nel 2017. A gennaio 2018, inaspettata, ad un controllo compare una lesione all'osso del cranio, che riesco a neutralizzare in pochi mesi con una radioterapia stereotassica" racconta Alessandra.
Ad aprile, un medico tedesco le ha detto che "è un miracolo se è ancora viva" e che se si sottoponesse ad un ulteriore ciclo di chemio per lei potrebbe essere la fine. Pochi giorni dopo ha cominciato un trattamento di chemioperfusione e chemioembolizzazione al fegato a Francoforte, dove accettano di prendere i n carico casi gravi come il suo, che altrove sarebbero rifiutati. "Ho il fegato con parecchie metastasi, alcune in posizioni davvero critiche, e sono proprio queste da trattare il prima possibile per evitare che, una volta entrate nelle vie biliari, mi rendano assai difficile sopravvivere", racconta ancora Alessandra. Ogni seduta costa quasi quattromila euro e lei deve farne almeno tre o quattro. Il prossimo appuntamento con la clinica tedesca è all'inizio di giugno. "A questa cifra – prosegue – si devono aggiungere le spese di viaggio e alloggio per me e un accompagnatore, necessario per sostenermi dopo il trattamento e aiutarmi a causa dei pesanti effetti collaterali".
Per questo, spronata da alcune amiche, ha lanciato sulla piattaforma GoFundMe un progetto che si chiama "Alè Ale, torna a ballare" per raccogliere i fondi necessari a sostenere le spese del costosissimo trattamento a cui si sta sottoponendo presso la Klinikum der Johann Wolfgang Goethe-Universität di Francoforte. Una cura che rappresenta al momento la sua unica speranza di miglioramento. "La sua storia è speciale, perché speciale è la protagonista" commentano le amiche, le stesse che l'hanno convinta a lanciare la raccolta fondi, non solo per raccogliere i soldi necessari alle cure, ma anche per fare rete e lanciare un messaggio: bisogna essere tenaci e perseveranti, mettendo a disposizione della collettività la propria esperienza con la patologia, sia nei momenti difficili che in quelli belli. "Hai la mia stima più profonda. Ho donato un'inezia, quello che potevo. Una goccia, ma spero che ti arrivi un oceano di solidarietà perché persone come te dovrebbero vivere 100 anni e diffondere la loro forza e il loro amore per la vita! Un grande in bocca al lupo!" ha commentato Giosiana, una delle decine di persone che hanno reso virale la solidarietà in Rete. Un miracolo, e in pochi giorni le donazioni hanno superato quota 10mila euro. "Ho ancora un sacco di cose da fare in questa vita e queste cure sono importanti per migliorare la mia prognosi e la mia qualità di vita, io non mi arrendo!" dice sorpresa Alessandra. È proprio come scrive Lea: "Il bene che circola crea una energia incredibile. Irradia tutti, inonda di meraviglia e stupore, di sentimenti positivi". Abbiamo tutto dentro di noi, e la ballerina di flamenco lo sa. Bisogna solo trovarlo e tirarlo fuori, con un calpestare minimo, movimenti lenti e seri che si alternano alle soste brusche.
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«Di cosa ti occupi?». Una domanda che ci si sente rivolgere spesso. «Scrivo», la risposta audace del sottoscritto. «Ma no, intendevo dire: che lavoro fai?». Ecco, questa è la premessa. Sono veneto, di Jesolo, fin dal lontano 1959. Dopo un intenso vagabondare che negli anni mi ha visto avviare diverse iniziative imprenditoriali in Europa, ho messo momentanee radici a Busto Arsizio. Il mio curriculum include l’esperienza della detenzione, e non ho alcuna intenzione di nasconderlo perché la considero una risorsa che mi appartiene e mi ha arricchito. No, non mi riferisco ai soldi… Sono attento alle tematiche che riguardano la detenzione in ogni suo aspetto, nella convinzione che si possa fare ancora molto per migliorare il rapporto tra la società civile e il carcere. Ebbene sì, per portare a casa la pagnotta scrivo per alcuni periodici, tra cui InFamiglia, DiTutto, Così Cronaca, Adesso, Sguardi di Confine e Sport Donna occupandomi principalmente di sociale. Ho pubblicato Pane & Malavita per Umberto Soletti Editore. Amo la musica, la lettura e la cucina. Sono nonno e mi manca tanto il mare.