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L’amministratore di fatto di una società di capitali risponde delle sanzioni tributarie irrogate alla società?

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Riferimenti normativi: Art. 7 D.L. n. 269/2003, conv. in L.n.326/2003 – Art.9 D.Lgs.n.472/1997

Focus: Nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche le sanzioni scaturenti da un avviso di accertamento possono essere irrogate nei confronti dell'amministratore di fatto della società?

Principi generali: La Commissione tributaria regionale per la Campania, con la recente sentenza n.6855/13 del 18/10/2022, si è pronunciata sulla questione. Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza, per i periodi d'imposta dal 2013 al 2016, emetteva avvisi di accertamento Irap e Iva nei confronti di una S.r.l. Nel corso dell'attività di controllo la Guardia di Finanza aveva accertato che l'amministratore e socio unico della società era in realtà un prestanome che era diventato amministratore e socio unico della S.r.l. nel 2014, acquistando le quote della società da soci di cui non ricordava il nome. Il prestanome non ricordava il prezzo pattuito per l'acquisto delle quote né riusciva a dimostrarne l'effettivo pagamento. Inoltre, non sapeva riferire nulla sulla gestione dell'attività commerciale né disponeva della documentazione contabile della società che era stata interamente consegnata al nuovo amministratore della stessa dal 2016, risultato irreperibile. Dalle dichiarazioni dei dipendenti emergeva che i reali amministratori della società erano i soci da cui il prestanome aveva acquistato le quote sociali. La società era stata dichiarata fallita nel 2017 e neppure il curatore fallimentare era in grado di fornire ai militari la documentazione contabile della stessa. Pertanto, gli avvisi di accertamento emessi dalla Guardia di Finanza venivano notificati agli amministratori di fatto della società che li impugnavano separatamente dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. Una degli amministratori eccepiva nel ricorso l'illegittimità delle sanzioni irrogate, in quanto applicabili alla sola persona giuridica, ex art.7 del D.L.n.269/2003. Contestava, altresì, la qualità di amministratrice di fatto della società e di aver costituito la società al solo scopo di commettere violazioni e illeciti, e denunciava la violazione dell'obbligo di contraddittorio, nonché l'omessa allegazione del processo verbale di constatazione all'atto impugnato. L'Ufficio, costituitosi in giudizio, difendeva la legittimità del proprio operato. 

La Commissione Tributaria Provinciale riuniti i ricorsi proposti separatamente ne dichiarava l'inammissibilità, compensando le spese di lite. I giudici di prime cure ritenevano che l'avviso, anche se notificato ai ricorrenti quali amministratori di fatto della società, non conteneva alcuna richiesta nei loro confronti, neanche a titolo di sanzione. L'avviso riguardava la società e recava il riferimento alle sole maggiori imposte accertate a carico della stessa e, come evidenziato dall'Agenzia delle Entrate, gli amministratori di fatto non erano stati ritenuti coobligati al pagamento delle sanzioni amministrative irrogate nei confronti della società. Ciò si evinceva dalle iscrizioni a ruolo relative alle maggiori imposte e sanzioni irrogate nei confronti della società scaturenti dagli accertamenti emessi avverso la s.r.l., per gli anni d'imposta 2015 e 2016. Pertanto, gli amministratori di fatto non erano legittimati ad impugnare l'avviso in proprio e, quindi, i ricorsi proposti venivano dichiarati inammissibili per difetto di interesse dei ricorrenti. La ricorrente impugnava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile il ricorso, non avendo l'Ufficio sollevato tale eccezione e non ricorrendo valide ragioni per escludere la legittimazione ad agire avverso i predetti atti impositivi; inoltre ribadiva quanto eccepito in primo grado. L'Ufficio, costituitosi in giudizio, sosteneva a sua volta la piena legittimità dell'atto impugnato e l'infondatezza dell'appello. A fondamento della propria tesi richiamava la regola generale disposta dall'art.2, comma 2, del D.Lgs.n.472/1997, secondo cui "la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso la violazione", e l'art.11 del medesimo decreto che prevede la responsabilità solidale del soggetto (persona fisica o persona giuridica) nel cui interesse ha agito l'autore della violazione. Poiché, però, tale disciplina è stata parzialmente derogata dall'art.7 del D.L.n.269/2003, essendo "le sanzioni amministrative, relative al rapporto fiscale riferibile a società o enti con personalità giuridica, esclusivamente a carico della persona giuridica", l'avviso di accertamento relativo ad imposte, interessi e sanzioni dovute dalla società di capitali si deve notificare all'amministratore e legale rappresentante della stessa e non all'amministratore di fatto. 

Quest'ultimo, di conseguenza, è privo della legittimazione ad essere destinatario dell'avviso di accertamento rivolto alla società di capitali. Tuttavia, se l'autore della violazione tributaria abbia agito non nell'interesse ed a vantaggio della persona giuridica ma nel suo esclusivo interesse, può essere chiamato a rispondere delle sanzioni irrogate alla persona giuridica, ai sensi dell'art.2 del D.Lgs.n.472/1997. In tal caso, l'amministratore al quale sia notificato, nella sua veste di responsabile solidale per interessi e sanzioni, un avviso di accertamento relativo ad imposte dovute dalla società, è legittimato ad impugnare il suddetto avviso oltre che per ragioni personali e soggettive (quali il difetto della carica di amministratore all'epoca dei fatti), anche per motivi inerenti il merito della pretesa tributaria, al fine di sottrarsi al pagamento di interessi e sanzioni. Nel caso di specie gli avvisi di accertamento sono stati notificati alla ricorrente quale amministratrice di fatto, ma quest'ultima non è stata oggetto di alcuna richiesta di pagamento, in qualità di coobbligata, per interessi e sanzioni irrogate alla società, ai sensi dell'art.7 del D.L.n.269/2003, come constatato dalle iscrizioni a ruolo. Conseguentemente, il giudice di seconde cure ha confermato l'operato della CTP, non essendo la ricorrente legittimata ad impugnare in proprio l'avviso di accertamento emesso nei confronti della società, rigettando l'appello e dichiarandolo inammissibile. D'altra parte ciò è stato confermato dalla Corte di Cassazione la quale, con Ordinanza n.8811/2021, ha stabilito che ai sensi dell'art.7 D.L.n.269/2003, convertito dalla L.n.326/2003, "le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest'ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all'art.9 D.Lgs.n.472/1997".

 

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