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Riferimenti normativi: Art.95 T.U.I.R. – art.2364 c.c.
Focus: Il compenso degli amministratori di società di capitali rappresenta la remunerazione loro spettante in relazione ai compiti svolti ed alle responsabilità assunte per la societàin cui operano. La Corte di Cassazione con sentenza n.13096 del 27 aprile 2022 ha preso in esame il caso in cui l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto costo sociale indeducibile il compenso corrisposto all'amministratore con la cessione a quest'ultimo di un credito vantato dalla società.
Principi generali: Ai sensi dell'art. 2364, comma 1, n. 3, c.c. quando non stabilito dallo statuto, spetta all'assemblea ordinaria delle società determinare il compenso degli amministratori. Il compenso può essere costituito in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione. In linea generale, il compenso per l'amministratore, qualora deliberato ed erogato, è deducibile fiscalmente per la società, ai sensi dell'art. 95, comma 5, D.P.R. n. 917/86 (T.U.I.R.), tra i costi di esercizio dell'impresa nell'anno di pagamento dello stesso. Quindi, in deroga al generale principio della competenza che governa il reddito d'impresa, i compensi degli amministratori di società di capitali sono deducibili per cassa. Ma può applicarsi tale principio se il compenso venga liquidato attraverso la cessione all'amministratore di un credito vantato dalla società?
La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione con sentenza n.13096, pubblicata il 27 aprile 2022. Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva rigettato l'appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado. Quest'ultima, in parziale accoglimento del ricorso del fallimento di una s.p.a. in liquidazione, aveva annullato l'avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l'anno 2003, limitatamente ad alcuni rilievi relativi alle imposte sul reddito ed all'Iva, dichiarando, per il resto, la legittimità dell'atto impositivo. L'Agenzia delle Entrate con ricorso in Cassazione ha eccepito, tra i vari motivi, la violazione e falsa applicazione, da parte dei giudici di secondo grado, degli artt. 47, primo comma, lett. c bis), e 62, terzo comma, e 95, secondo comma, T.U.I.R., perché la sentenza impugnata ha riconosciuto, con riferimento al rilievo n.1 dell'avviso di accertamento, la deducibilità del costo per compenso agli amministratori, pur essendo stato pagato il compenso mediante cessione di un credito che non risultava essere stato incassato dagli aventi diritto nel corso del periodo di imposta in oggetto. La Corte Suprema ha preso in esame l'eccezione sollevata dall'Amministrazione finanziaria richiamando i principi inerenti al reddito di impresa. In particolare, la stessa ha osservato che l'art. 62, terzo comma, T.U. I.R., nella formulazione pro tempore vigente, stabilisce che «i compensi spettanti agli amministratori delle società in nome collettivo e in accomandita semplice sono deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti», aggiungendo che sono deducibili negli stessi termini anche i compensi erogati sotto forma di partecipazione agli utili anche se non imputati al conto dei profitti e delle perdite. La disposizione trova applicazione anche ai compensi spettanti agli amministratori delle società di capitali, per effetto della espressa estensione riconosciuta dal successivo art. 95. Da ciò deriva che sono ammessi in deduzione dal reddito d'impresa, in base al criterio di cassa, sia i compensi determinati in misura fissa, sia quelli commisurati agli utili di esercizio, in deroga al generale principio della competenza sancito dal (previgente) art. 75, primo comma, T.U. n. 917 del 1986 (Cass. 11 agosto 2017, n. 20033; Cass. 20 novembre 2015, n. 23763).
Come noto, in base al principio di cassa le componenti negative di reddito assumono rilevanza nel periodo di imposta in cui avvengono i pagamenti o, comunque, quando vi è la manifestazione finanziaria di tali componenti. In applicazione di tale principio, con riferimento al momento in cui può essere dedotto il costo rappresentato dalla cessione di un credito in pagamento (del compenso dell'amministratore), <<si deve distinguere l'ipotesi ordinaria in cui la cessione, di per sé,non estingue l'obbligazione, essendo necessaria anche la riscossione del credito, da quella, che ricorre in presenza di apposita volontà delle parti, in cui la cessione è idonea, da sola, ad estinguere l'obbligazione. Solo in quest'ultimo caso vi è manifestazione finanziaria del costo sostenuto, che è resa evidente dalla definitiva soddisfazione della pretesa creditoria a seguito dell'estinzione dell'obbligazione>>. A tal riguardo, la Corte di Cassazione ha richiamato sia i principi generali in tema di estinzione delle obbligazioni, che consentono la liberazione dall'obbligazione mediante cessione di un credito (art. 1198 c.c.), che la disciplina tributaria, la quale al previgente art.47, primo comma, lett. c bis), T.U.I.R., considera assimilati ai redditi di lavoro dipendente le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, in relazione agli uffici di amministratore di società, riconoscendo, in tal modo, sia pure in via implicita, la possibilità che il compenso per lo svolgimento di funzioni gestorie possa essere remunerato in modo diverso dall'erogazione diretta del denaro. La Suprema Corte sulla base di tali considerazioni ha ritenuto che la Commissione regionale, nel ritenere sufficiente, ai fini della deducibilità del costo, il fatto che la cessione del credito aveva avuto luogo nel periodo di imposta in oggetto e che in tale periodo era stata accettata dal debitore ceduto, non ha correttamente applicato i suesposti principi di diritto, poiché avrebbe dovuto accertare anche che le parti avessero attribuito a tale cessione l'effetto estintivo del credito ceduto dell'amministratore per compenso per l'attività svolta, ossia la natura pro saluto della cessione. Pertanto, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate in merito a questo e ad un altro motivo dello stesso, dichiarando inammissibili i restanti motivi.
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Il mio nome è Carmela Patrizia Spadaro. Esercito la professione di Avvocato nel Foro di Catania. Sin dal 1990 mi sono occupata di diritto tributario formandomi presso la Scuola Tributaria "Ezio Vanoni" - sez.staccata di Torino.. Sono anche mediatore iscritta all'Albo della Camera di mediazione e conciliazione del Tribunale di Catania dal 2013. Da alcuni anni mi occupo di volontariato per la tutela dei diritti del malato. Nel tempo libero coltivo I miei hobbies di fotografia e pittura ad olio.