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Il divieto di difendere l'altro coniuge riguarda la prestazione nella sua accezione più ampia

CNF

Se il difensore ha assistito congiuntamente coniugi o conviventi nelle controversie di natura familiare, allora, in caso di successive controversie insorte tra le stesse parti, non potrà prestare la propria assistenza ad una delle due. Tale divieto riguarda la prestazione professionale nella sua accezione più ampia.

Questo è quanto ha statuito il Consiglio nazionale forense (CNF) con sentenza n. 243 del 29 dicembre 2021 (fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2021-243.pdf).

Ma vediamo il caso sottoposto all'esame del CNF.

I fatti del procedimento

La ricorrente è un avvocato contro la quale è stato formulato un esposto da parte di un suo cliente. In buona sostanza, quest'ultimo ha riferito di essersi rivolto, insieme alla moglie, alla ricorrente affinché quest'ultima l'assistesse per un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Successivamente, la moglie dell'esponente ha mostrato all'incolpata una scrittura privata, risalente al 2005, nella quale il marito si riconosceva debitore nei confronti della moglie. 

La ricorrente ha così presentato un ricorso per decreto ingiuntivo e, dopo aver ottenuto il titolo esecutivo, ha notificato all'esponente un pignoramento del quinto dello stipendio. Stanti le accuse sollevate da questi nei confronti della ricorrente, quest'ultima, ha precisato di non aver mai utilizzato le informazioni riservate riferite dall'esponente e di aver agito contro di lui per una svista, essendo in buona fede e avendo sostanzialmente dimenticato che nella causa di divorzio aveva rappresentato entrambi i coniugi. Nei confronti dell'avvocato è stato approvato il seguente capo di incolpazione: "violazione dell'art. 68 comma 4 del codice deontologico per aver promosso una procedura monitoria e successiva fase di esecuzione per conto della moglie, contro il marito - esponente, dopo averli assistiti congiuntamente nella causa di divorzio".

Così il caso è giunti dinanzi al CNf.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità. 

La decisione del CNF

Innanzitutto, la ricorrente chiede, in riforma della decisione gravata, di essere dichiarata esente da responsabilità disciplinare e, dunque, prosciolta, con accoglimento dei motivi di gravame proposti. In particolare, fa rilevare che il disposto dell'art. 68, c.4 NCDF si pone l'obiettivo di evitare potenziali situazioni di conflitto di interessi. Orbene, a suo dire, nel caso di specie, detto confitto non sussiste. E ciò in considerazione del fatto che il concetto di assistenza andrebbe considerato in maniera sostanziale e non meramente formale. In altri termini, l'avvocato, specialmente in caso di ricorso congiunto, dovrebbe fornire un contributo concreto nella formazione della volontà delle parti. Ebbene, la ricorrente sostiene che ciò non sarebbe avvenuto nel caso di specie, essendosi la stessa limitata a ricevere l'esponente per la sottoscrizione del ricorso congiunto, il quale avrebbe, sostanzialmente, riconfermato le condizioni già pattuite dai coniugi. Stando così le cose, secondo la ricorrente, non potrebbe esserle contestata alcuna violazione deontologica.

Di diverso avviso è il CNF.

Secondo quest'ultima autorità, la norma di cui all'art. 68, c.4 NCDF pone un divieto chiaro per il difensore che ha assistito congiuntamente coniugi o conviventi nelle controversie di natura familiare. In questo caso, l'avvocato non potrà prestare assistenza a uno dei due coniugi ove sorgano controversie tra le stesse parti. Il divieto in questione riguarda la prestazione professionale nella sua accezione più ampia, che, nel caso di specie, sarebbe comprensiva anche delle attività menzionate dall'avvocato ricorrente.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il ricorso è stato conclusivamente rigettato. 

 

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