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Il datore lavoro risarcisce per il mancato lavaggio degli indumenti da lavoro.

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L'art. 74 del Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro, nel fornire la definizione del termine "dispositivo di protezione individuale", afferma che per DPI deve intendersi qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.

Al successivo comma 2,invece, nell'elencare una serie di attrezzature che, in nessun caso, possono essere ricondotte alla nozione di DPI, lo stesso articolo menziona, tra i casi di esclusione, gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore.

Dunque, ai fini della qualificazione degli indumenti da lavoro come dispositivi di protezione individuale, ciò che rileva è la funzione in concreto svolta, sicché, quand'anche non qualificati dal datore come tali, saranno da considerare dispositivi di protezione individuale se, materialmente, assolvono al compito di proteggere la salute e la sicurezza dei dipendenti.

La tematica relativa alla qualificazione degli indumenti di lavoro come dispositivi di protezione individuale e del correlativo obbligo di mantenerne l'efficienza, è stata affrontata dalla Corte di Cassazione in una recentissima ordinanza (numero 13283/2024) in cui il collegio ha accolto il ricorso proposto da un dipendente delle Ferrovie dello Stato, volto ad ottenere il risarcimento del danno derivante dal mancato lavaggio degli indumenti da lavoro.

Abstract.

In tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, dal generale dovere del datore di lavoro di adottare tutte le misure e le cautele idonee a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore, deriva, altresì, l'obbligo di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria di D.P.I., ivi compreso l'obbligo di igienizzazione centralizzata o della predisposizione di una procedura periodica di lavaggio.

La mancata adozione di tali misure, espone il datore di lavoro a responsabilità per inadempimento, il cui accertamento, dunque, va effettuato secondo le ordinarie regole dettate in tema di responsabilità contrattuale.

Corte di Cassazione, sez. lavoro, ordinanza del 14 maggio 2024, n. 13283. 

Il caso.

Un dipendente di R.F.I. Spa con mansioni di operaio specializzato della manutenzione, proponeva ricorso per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato lavaggio di indumenti quali Dispositivi di Protezione Individuale.

I giudici di entrambi i gradi, aderendo ad un orientamento espresso in numerosi precedenti di merito, rigettavano la domanda reputandola generica e sfornita di prova.

In particolare, i giudici del merito, pur avendo riscontrato che, nel caso di specie, effettivamente il datore di lavoro non aveva effettuato i lavaggi degli indumenti e degli accessori del dipendente (il quale, per contro, aveva, invece allegato di essersi occupato della manutenzione con interventi programmati o straordinari su binari, traverse, ponti, impianti elettrici ed in genere sul materiale rotabile, per cui era stato obbligato ad indossare costantemente i dispositivi di protezione individuale idonei a salvaguardare la propria incolumità e a prevenire rischi per la sicurezza quali giubbotti ad alta visibilità, guanti sia isolanti che da manutenzione, scarpe antiinfortunistiche, caschi, cinture, pantaloni, gilet e tute), avevano rigettato la domanda, ritenendo che l'inadempimento dell'azienda all'obbligo di manutenzione degli indumenti forniti al personale non autorizzasse alcuna automatica conclusione nel senso della responsabilità patrimoniale della datrice di lavoro, ragion per cui, il lavoratore avrebbe dovuto, a tale ultimo fine, fornire elementi idonei a dimostrare concretamente il pregiudizio da lui subito quale conseguenza dell'accertato illecito contrattuale del datore, cosa che, invece, costui, secondo i giudici, non aveva fatto.

Il ricorrente, reputando tale decisione in contrasto sia con l'art. 77 del d.lgs. n. 81/2008, sia con gli artt. 1223, 1226 e 2087 del codice civile, ricorreva in Cassazione.

La decisione della Corte.

Secondo la Cassazione, nella fattispecie, non doveva essere il lavoratore a dovere allegare i fatti in ordine alla dimostrazione dell'effettivo utilizzo del Dispositivo di Protezione Individuale per tutta l'esecuzione del rapporto di lavoro ovvero circa le modalità, frequenza e numero dei lavaggi, ma, una volta accertato l'inadempimento dell'azienda all'obbligo di manutenzione degli indumenti forniti al personale - come ritenuto dai giudici del merito - il datore di lavoro avrebbe dovuto allegare e dimostrare i fatti impeditivi della richiesta risarcitoria fondati sul non uso o sulla ininfluenza dei mancati lavaggi. 

Infatti, poiché il contenuto dell'obbligo di sicurezza disegnato dall'articolo 2087 del codice civile richiede che nei confronti del datore di lavoro sia ravvisabile una condotta commissiva o omissiva, sorretta da un elemento soggettivo, almeno colposo, quale il difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore, specifica l'ordinanza, ne consegue che il lavoratore, quale creditore dell'obbligo di sicurezza, deve allegare solo la fonte da cui scaturisce siffatto obbligo nonché la eventuale scadenza del termine e l'inadempimento, mentre, grava sul datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

Peraltro, concludono i giudicanti, poiché, nella fattispecie esaminata, il danno poteva ritenersi certo nella sua esistenza ontologica, dal momento che la società non aveva dimostrato di avere adempiuto ai lavaggi, lo stesso poteva essere determinato in base ad una liquidazione equitativa. 




Nome File: Cass.-13283-2024
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