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I corridoi di Palazzaccio, tra i quali si cammina senza che si arrivi mai (da "Avvocà, per ora grazie")

caravita

 I corridoi di Palazzaccio, il grande palazzo di travertino sede della Suprema Corte di Cassazione, sono immensi corridoi con grandi vetrate: sono ampi, larghi dieci metri, alti almeno 20 metri, lunghissimi, a volte angosciosi, perché si cammina e sembra di non arrivare mai da nessuna parte. Ogni tanto piccole porte rivelano una fuga di corridoi, o portoni grandi come quelli di un condominio del quartiere Prati si aprono su scale che scendono e salgono. Qualche commesso appare e scompare nei corridoi laterali, spingendo carrelli pieni di fascicoli.

Mi viene in mente un dramma di Ugo Betti, nel quale un commesso che lavora all'archivio dei processi definiti dice: "Io sono il becchino. "Questo (battendo sul carrello carico di fascicoli) è il carro funebre, e questi sono i cadaveri. E mostrò i fascicoli. E poi continuò: Quando penso alla quantità di sudore, soldi e sospiri racchiusa anche nella più stupida delle carte che formano il più piccolo di questi fascicoli! Noi ci incolliamo un numero, li registriamo in un bel librone, e la gente fa finta di credere che tutto ciò resti importante per saecula saeculorum, e si possa sempre ritrovare il filo di tutto...e poi, prima ancora dei topi e dei tarli, sono gli stessi interessati a dimenticare..."

Nelle navate del Palazzaccio, in questi grandi, enormi corridoi dove ci si sente soli e smarriti, e piccoli di fronte all'immensità della Giustizia e ai suoi misteri, il sole entra dalle grandissime vetrate: come in un enorme porticato, con gli archi altissimi chiusi da vere e proprie finestre. A volte, il sole entra di traverso, e disegna sul pavimento quattro grandi riquadri di luce, che corrispondono alla ripartizione delle vetrate in altrettanti riquadri di vetro. E quindi i fasci della luce del sole entrano di sbieco, e sono perfettamente visibili nella lieve penombra del corridoio, e finiscono come ho detto contro il pavimento.

Proprio l'altro giorno, in uno di questi riquadri di luce era fermo un signore su una carrozzella da invalido.

Mi avvicino lentamente (con incedere elegante). Sembra dormire, e l'unica nota di colore è una sciarpa rossa che porta al collo: la carrozzella è scura, il vestito è nero, appesa dietro la carrozzella una borsa nera, i capelli della testa china in avanti sono neri. Solo la sciarpa rossa spicca nel riquadro disegnato dal sole, e quei raggi la rendono ancora più rossa e viva, quasi l'unica cosa animata.

 Guardo quest'uomo a capo chino. Sta dormendo, mi dico tra me e me, mentre ogni passo mi porta inesorabilmente verso di lui. E già vedo un pezzo di carta pendere sbilenco dalle mani, e la testa reclinata in avanti. La curiosità mi fa affrettare per oltrepassarlo e poi girarmi per guardarlo in faccia.

Sono quasi arrivato all'altezza della carrozzella e del suo ospite ferma nel riquadro di sole: ho praticamente raggiunto l'angolo del corridoio (perché ad ogni piano questo enorme corridoio fa il giro di tutto il palazzo, e con quattro angoli retti completa l'intero giro del perimetro).

Irrompe proprio in quel momento sulla scena un gruppo di persone. Cosa ha di strano? Perché attira la mia attenzione ancor più dell'uomo sulla sedia a rotelle con la sua sciarpa rossa? Gesticolano, o meglio avanzano a semicerchio intorno a una figura centrale che gesticola. Lo guardano tutti con attenzione, e a un certo punto scoppiano tutti a ridere. Anzi no, non scoppiano a ridere. Ridono tutti, ma senza fare rumore. E alla fine capisco: è un gruppo di sordomuti, si parlano con il linguaggio dei gesti, e con il linguaggio dei gesti il personaggio al centro del gruppo ha raccontato una barzelletta. E tutti hanno riso, in perfetto silenzio.

E' una scena surreale. Mi sento perso, in viaggio verso l'ignoto. La cancelleria che cerco di raggiungere è lontana anni luce. Il gruppo di sordomuti ha preso una scala laterale ed è sparito in silenzio, come gli indiani pellerossa della mia infanzia che si muovevano silenziosi e silenziosi colpivano.

L'unico mio contatto con la realtà a questo punto la faccia dell'uomo sulla sedia a rotelle. La devo vedere. Distolgo lo sguardo dal punto in cui si è improvvisamente materializzato il gruppo silenzioso della barzelletta muta, e mi giro.

Ma l'uomo si è svegliato, ha girato la sua carrozzella e se ne sta andando esattamente nella direzione opposta. Nel riquadro di sole non è rimasto nulla: solo la sciarpa rossa pende dalla carrozzella che si allontana, e striscia per terra seguendo il suo proprietario.

 

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