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Francesco Camelutti (Udine 1879-Milano 1965), avvocato e giureconsulto, autore, di una serie di opere nel campo del diritto processuale civile e penale, della teoria generale del diritto oltre che di numerosi saggi di estremo valore letterario, tra cui La strada, edita da Tumminelli, Roma, 1941; Meditazioni, 1942; Tempo perso, 3 voll., Elli Fabbri Editori, Milano 1955; Le miserie del processo penale, Edizioni Radio Italiana, Torino 1957. Vita di avvocato, ERI~Edizioni Rai, Torino 1961.
da: La strada, Tumminelli & C. Editori, Roma-Milano 1941.
LA STRADA
A un certo momento della vita ognuno parte per il suo viaggio. La mia partenza è stata quando mi sono iscritto all'università.
Chi sa dove vuole andare; chi s'avvia come un vagabondo. Chi resta di qua dalla meta; chi la raggiunge; chi la oltrepassa. Fino a un certo punto io ho seguito il cammino previsto; poi qualcuno mi ha preso per mano e sono andato oltre.
Era un punto pericoloso; dopo i cinquant'anni. Finché si sale pare che la strada non abbia fine; poi ti s'affaccia il fondo e puoi anche disperare. A questo punto qualcuno m'ha preso per mano. Ora so che quel discendere è l'inganno d'un gioco di luci e, invece, la strada continua a salire. Pensandoci, sento suonare le campane, come quando ero innamorato. Ora tutto è chiaro e la strada percorsa si snoda dietro a me come dal passo del Pordoi verso Arabba.
Questa strada Mio fratello Daniele l'ha appena segnata; e con un disegno piuttosto sentimentale. Restano molte cose da spiegare. Perché il protagonista di quel libro si chiami X pochi hanno mostrato di capire. X, in algebra, è l`espressione di un`incognita. Io non mi sono voluto nascondere; solo ho voluto dire che vi è in me molto ancora di nascosto. Qualcosa ho cercato di scoprire; ma ho appena cominciato. Quella è stata un'inquadratura d'ambiente, più che altro. Mette conto di seguitare? È questione di sapere per chi e perché.
I casi della mia vita, accennati in quel libro, non dovevano interessare che un ristretto circolo di amici; ho scoperto però di avere più amici che non credessi e mi ha consolato. Ma il costrutto spirituale di quei casi merita di essere più vastamente conosciuto? Io sono un credente nel diritto diventato miscredente e, in compenso, ho ritrovato la fede in Dio. Se sì, bisogna chiarire un poco la storia, piccola e ingenua storia, non tanto della mia vita, quanto del mio pensiero. X, che qui sono diventato io solo perché altrimenti poteva sembrare una posa, non è un giudice né un maestro ma un uomo, soltanto, che vorrebbe spiegare sé stesso a sé stesso, Uno non e quello che si vede, quando si guarda allo specchio, ma quello che è venuto su, a poco a poco, mutandosi ogni giorno e, insieme, quello che ancora ha da essere e si può fino a un certo punto indovinare, per quel tratto di strada, che ancora gli resta da camminare. Una strada, insomma. La mia strada, che qui cerco di rintracciare non perché sia meglio di un'altra e meno ancora per suggerirla ad alcuno, ma perché e stata così; ed ecco tutto. Un'esperienza; nient'affatto un giudizio. Dell'esperienza fa parte anche il passo, con cui l'ho percorsa.
Questo cenno si riferisce specialmente all'ultima tappa, di là dal diritto. Vi sono, verso la fine, alcuni capitoli, che il meno che mi si dovesse rimproverare se li avessi scritti con la pretesa di risolvere certi problemi, sarebbe un'imperdonabile leggerezza. Neanche per sogno. Quelli sono gli spunti di ciò che è bastato a me per arrivare dove son arrivato; e io non pretendo che sia il cammino per tutti e neanche per alcuno. So bene che la strada passa per certe regioni, nelle quali, privo d'ogni guida, mi potevo smarrire e forse mi sarò smarrito per davvero; ma il luogo dove sono giunto, io l'auguro a ogni camminatore. Se poi quello che ora si stende dinnanzi a me sia un'oasi o un miraggio, giudichi chi sa. Tenga conto però anche di questo, che ci ho trovato l'acqua per la mia sete.
Il dubbio è però se i pensieri, con i quali s'è formato quel costrutto, valga la pena di diffonderli tra la gente. Ecco. Se il mondo fosse tutto di filosofi, all'istinto di comunicare", vivacissimo in me, avrei dovuto resistere; si potrà dare anche in filosofia qualche fiore selvatico, ma che proprio fiorisca nel mio campiello, questa non fa parte delle mie illusioni. Ma ci sono anche al mondo, più numerosi dei filosofi, quelli che tra una fede nel diritto, sempre più scossa e corrosa, e una non fede in Dio, del quale non si curano, come di una vanità, o anche si vergognano, come di una debolezza, vivono malamente, giorno per giorno, al modo in cui lungo tempo io sono vissuto, e se guardano davanti a sé non vedono nulla 0 credono di vedere qualcosa, che e meglio votare la testa per conservare il coraggio di tirare avanti. A costoro è rivolta la storia; e non importa anzi giova la sua ingenuità; io li conosco bene e so che siamo, in fondo, molto simili a quelli che il Vico chiamava "fanciulli del nascente genere umano". A loro parlare, se potessi, sottovoce, proprio come si racconta ai fanciulli una fiaba, che i sapienti non la devono sentire; se poi a qualcuno fra questi giungesse all'orecchio, pensi che a narrarla non mi spinge la pretesa d'aver scoperto alcuna verità, ma solo la gioia d'aver trovato la pace. Giusto, anche oggi è Pasqua. Il cielo, le campane, i bianchi bovi sono quelli dell`altr'anno. Dopo tutto, ognuno ha il suo modo di pregare.
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