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Qual è l'origine del tempo? Il tempo è qualcosa di assoluto o esiste solo in relazione al soggetto che lo percepisce? Il tempo è rettilineo o è ciclico? Il tempo è qualcosa di assoluto oppure è qualcosa di soggettivo? Fin dall'antica Grecia l'uomo si è costantemente interrogato su quale sia il vero significato del tempo. Il tempo è la dimensione nella quale si coglie e si misura il trascorrere degli eventi. Esso induce la distinzione tra passato, presente e futuro. Può essere considerato come una necessità dell'uomo di poter controllare gli avvenimenti e quindi pianificare ogni singolo momento della propria vita.
Secondo Anassimandro la vita degli esseri non si svolge nel caos, ma in un cosmo, cioè in un contesto ordinato, in una successione di eventi e di fatti ordinata nel tempo. Tutto secondo Anassimandro ha origine dall'àpeiron, in movimento eterno; da esso hanno origine i vari mondi soggetti alla legge del tempo, in quanto essi hanno un inizio, uno sviluppo e una fine. Il separarsi degli elementi dall'àpeiron coincide con il loro entrare nel tempo. In Anassimandro il tempo è una legge inesorabile che condiziona le vicende degli esseri naturali, mentre il principio di tutto, l'àpeiron, è estraneo al mondo e al tempo.
Secondo Parmenide di Elea la natura intima dell'esistenza è immobile ed eterna, per cui il senso del tempo e tutti i mutamenti del mondo fisico sono solo delle illusioni (doxa). "Essendo ingenerato è anche imperituro, tutt'intero, unico, immobile e senza fine. Non mai era né sarà, perché è ora tutt'insieme, uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare? Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti permetterò né di dirlo né di pensarlo. Infatti non si può né dire né pensare ciò che non è." "L'essere come potrebbe esistere nel futuro? In che modo mai sarebbe venuto all'esistenza?" Parmenide aveva cercato di dare un senso al tempo seppur in modo indeterminato affermando che il concetto di eternità esisteva, ma non il concetto di tempo poiché appartenente alla doxa (opinione di chi non conosce realmente e si affida alla via ingannevole dei sensi).
Eraclito, filosofo del mutamente perenne e incessante, ha una concezione ciclica del tempo, ma cerca, contemporaneamente, di ricondurre la dimensione del divenire, che è considerata l'elemento centrale del suo pensiero, a un principio più profondo e permanente, il Logos. "Questo ordine del mondo, lo stesso per tutti, nessuno degli dèi né degli uomini lo ha costruito, ma sempre era, è e sarà, fuoco sempre vivo che secondo misura si accende e secondo misura si spegne".
Per Platone il tempo è "l'immagine mobile dell'eternità", come scrive nel "Timeo". Al di sopra dei fenomeni esiste l'Iperuranio, eterno ed immutabile, per cui i concetti di passato, presente e futuro hanno un senso solo rispetto alla realtà sensibile e, nel loro flusso circolare, rimandano all'eternità a loro sovrastante, di cui sono un mero riflesso (l'immagine mobile di ciò che è immobile, appunto).
Per Aristotele il tempo è potenzialmente infinito (mentre ritiene finito lo spazio) e lo riconduce ad un numero. Il tempo, infatti, è per lui la misura del movimento, il modo in cui "contiamo" quanto le cose si muovono. "Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e il poi". Nel prendere in considerazione le strutture generali del mondo fisico caratterizzato, in primo luogo, dal mutamento e dal movimento, Aristotele si trova inevitabilmente ad affrontare la questione del tempo che, pur non identificandosi propriamente con il movimento, si presenta come a esso strettamente collegato. La riflessione dell'autore lo conduce, in primo luogo, a individuare una strettissima connessione fra il tempo e lo spazio, per cui il primo risulta definibile soltanto con esplicito riferimento al secondo. "Noi percepiamo simultaneamente movimento e tempo. Se siamo infatti nell'oscurità e non subiamo affezioni per il tramite del corpo, e tuttavia un qualche movimento è presente nella nostra coscienza, immediatamente e simultaneamente a noi sembra che anche un certo tempo sia trascorso. Ma anche, quando noi crediamo che un certo tempo sia trascorso, ci sembra che un certo movimento si sia prodotto simultaneamente. Se ne deve concludere che il tempo o è movimento, oppure è qualcosa del movimento. E giacché esso non è movimento, necessariamente allora è qualcosa del movimento".
Per Sant'Agostino il tempo nasce al momento della creazione dell'Universo da parte di Dio, non esiste quindi un "prima" della Creazione, così come non esisterà un "dopo", in caso contrario verrebbe contraddetto la perfezione di Dio. Per Sant'Agostino il tempo esiste solo come dimensione dell'anima umana; la sua definizione esatta è "distensio animae" (distensione dell'anima), in quanto l'esistenza si distende tra l'attenzione (presente), la memoria (passato) e l'attesa (futuro). Poiché, però, la percezione temporale avviene tutta nel presente, le tre dimensioni temporali sono più correttamente definite come: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. E' la nostra mente a misurare il tempo, che quindi non è qualcosa di oggettivo e da qui deriva anche la difficoltà di definirlo; non a caso quando Sant'Agostino chiede a se stesso che cosa sia il tempo, arriva ad affermare: "Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so".
Tra il Settecento e l'Ottocento, il filosofo tedesco Immanuel Kant dà un grande contributo alla ricerca filosofica sul tempo che viene definito, come lo spazio, una "forma a priori della sensibilità". Per Kant tempo e spazio sono modi con i quali l'uomo, in quanto soggetto conoscente, organizza il materiale empirico. Nella "Critica alla ragione Pura" Kant afferma che: "Lo spazio non è altro se non la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni" ed "Il tempo non è altro che la forma del senso interno, cioè dell'intuizione di noi stessi e del nostro stato interno".
Hegel considera il "tempo" come "divenire intuito", cioè come intuizione del movimento. In particolare "il tempo è il principio medesimo dell'Io, dello Spirito. "Il tempo è l'Essere che, quando è, non è, e quando non è, è"; in pratica lo Spirito per autoconoscersi deve appropriarsi di ciò che non è, e questo appropriarsi e conoscersi per negazione è ciò che avviene nel tempo. La concezione di tempo nietzscheiana si scontra aspramente con quella tradizionale dell'Occidente. Infatti, nella società cristiana occidentale il tempo è concepito come lineare così come lo vedono tendenzialmente le scienze. Nietzsche scardina in modo rivoluzionario questa visione parlando di una circolarità del tempo, funzionale alla sua teoria del Oltreuomo. Nella dottrina del tempo lineare caratterizzato dall'avere un inizio e una fine non posso vivere pienamente, perché so che ogni istante sarà distrutto, privato di significato, da quello successivo; nella dottrina dell'Eterno ritorno, invece, posso vivere la vita fino in fondo perché ogni cosa che faccio ha un valore assoluto: esiste un Eterno ritorno dell'uguale, una ciclicità dell'universo che sfociano nella negazione della finitezza del tempo. L'uomo occidentale attanagliato da dubbi esistenziali e convinto della scissione fra essere e senso, non è in grado di concepire essere e senso come coincidenti: per lui il tempo è una tensione angosciosa verso un compimento che è al di là da venire. Solo l'oltreuomo è in grado di accogliere con entusiasmo la concezione ciclica del tempo, poiché ha accettato pienamente la vita ed è in grado di godere di essa.
Secondo Bergson, il nostro modo usuale di concepire il tempo come una successione di istanti della stessa durata, basato sul movimento delle lancette dell'orologio, è il frutto di un'operazione dell'intelletto, che "spazializza" il tempo, ossia lo concepisce come una realtà fisica e lo divide in segmenti uguali. A questo tempo della scienza Bergson contrappone un tempo interiore, continuo, indivisibile e irripetibile, che è quello della nostra coscienza, nella quale i vari momenti si compenetrano gli uni negli altri senza soluzione di continuità. Questa durata interiore è l'autentica temporalità, mentre il tempo della scienza è una costruzione intellettuale. Scrive Bergson, "Al di fuor di me, nello spazio, c'è un'unica posizione della lancetta e del pendolo, perché delle posizioni passate non resta nulla. Dentro di me si svolge un processo di organizzazione e di mutua compenetrazione di fatti di coscienza, che costituisce la vera durata." Heidegger, filosofo esistenzialista, nel suo capolavoro "Essere e Tempo" parte dalla domanda: "Cos'è l'essere?" Ed arriva a definire l'essere umano come progetto e poiché ogni progetto è limitato dalla morte, l'essere umano si ritrova calato in una dimensione temporale: il passato è il punto di partenza e il fondamento delle possibilità a venire ed il futuro è l'opportunità di conservazione o mutamento del passato. Il progetto che costituisce l'essere si estrinseca e trova il suo significato nel tempo e da qui sorge l'equivalenza del pensiero heideggeriano: l'essere è il tempo e il tempo è l'essere! Il tempo è il senso del nostro essere in quanto rende possibile l'esprimersi nel mondo, l'esserci nel mondo; per questo, secondo Heidegger, la scienza non può dirci che cosa sia il tempo, ma può solo misurarlo. Con un orologio è, infatti, possibile misurare l'"ora", ma la scienza ignora cosa sia questo "ora" non essendo una realtà oggettiva ma soggettiva.
Il problema del tempo attraversa l'intera storia dell'uomo e ne rappresenta un filo rosso. Consapevolmente o inconsapevolmente tutti esperiamo lo scorrere del tempo. Oggi il coronavirus ha modificato la nostra percezione del tempo. Noi davamo il futuro assolutamente per scontato. Adesso a nostre spese abbiamo dovuto imparare che non è così, che nulla è certo. Per la prima volta il mondo intero sta sperimentando una dimensione sospesa. Ora che il tempo è paradossalmente più nostro, il nostro tempo è diventato estremamente fluido e lentissimo, lo sentiamo "vuoto". Il mondo, dopo questa faccenda, non sarà più lo stesso. Ci sarà un mondo pre-covid e un mondo post-covid. E anche il tempo, la nostra percezione del tempo, cambierà radicalmente.
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