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L’Uomo, il Tempo e la Memoria

rizzo

 Parlare del tempo apre un ventaglio di conoscenze infinite.

Il tempo ha occupato le menti dei primi uomini che hanno abitato la nostra Terra ed hanno scritto la storia dell'Umanità.

Non esistono momenti della nostra storia che non siano stati collocati nel tempo e, dopo, recuperati grazie alla Memoria.

La Memoria è la grande, grandissima componente del Tempo filosofico, storico, sociale, culturale. Umano.

La necessità di misurare il tempo, come ci ricorda lo scrittore Umberto Bottazzini, si manifestò fin dagli albori della civiltà.

Non è un caso, osserva Newton, che il calendario sia stato inventato dalle civiltà che per prime si dedicarono all'agricoltura.

I nostri antenati ricorrevano, nella misurazione del tempo, ai fenomeni naturali che si ripetevano ad intervalli sufficientemente regolari: l'alternanza del giorno e della notte, il moto dei corpi celesti come la Luna e il Sole, i fenomeni, cioè, che hanno dato origine alle unità naturali di misurazione del Tempo.

E l'uomo aveva un rapporto naturale con il Tempo e non si lasciava, come dire, stressare.

 Bartolo Cattafi, uno dei più grandi poeti del Novecento originario di Barcellona Pozzo di Gotto, visitando isole lontane e prendendo l'Isola come metafora ha scritto: "Nei sette mari molte sono le isole lontane: lontane dalla costa dei continenti, dalle coste di isole grandi come continenti, dalle strisce di terra che civiltà, progresso, mezzi di comunicazione percorrono vivificando. Ma vi è anche un altro tipo di isole lontane, la cui lontananza non è misurabile con l'apertura del compasso, coi segnetti allineati sul legno del doppio decimetro. Una lontananza di natura non tanto geografica quanto astratta, psicologica. Un isolamento non dovuto soltanto al mare, ma alla solitudine, all'abbandono, all'oblio in cui codeste isole vengono lasciate e in cui a volte gli isolani stessi si stendono e si dondolano come in un'amaca...[...]

L'orologio, il calendario, il metro mentale validi in gran parte del mondo, in queste isole lontane non hanno significato. Sono assurdi, inutili strumenti. Gli isolani regolano la loro vita sulla base della rosa dei venti, sul giro delle stagioni, sulle lunazioni, sulle migrazioni dei pesci e degli uccelli...".

Ci vien voglia di dire esattamente come i nostri progenitori che del tempo facevano un uso virtuoso, senza affanno e senza stress.

E non sarà stato un caso, se uno dei più grandi filosofi greci, che più capì dove ci avrebbe portato un uso poco , e poco naturale, del tempo da parte dell'uomo, fu Aristotele, che si occupò, nell'Etica Nicomachea del "Tempo libero", scrivendo: "…il tempo libero non è la fine del lavoro, è il lavoro la fine del tempo libero".

L'Organizzazione mondiale della sanità, ha fatto sapere, qualche decennio fa, che in un futuro molto prossimo, il male numero uno dell'umanità sarebbe stata la depressione.

Depressione da stress, da lavoro, da paure, vere o presunte, per tutto ciò che crediamo non essere capaci di realizzare obiettivi, in quanto fuori dalla nostra portata.

La depressione, il male oscuro, soprattutto di chi ha scelto "l'avere", anziché "l'essere", ci ammonisce Herich Fromm, inseguendo miraggi e vie verso una presunta felicità.

Una bellissima poesia di Giuseppe Ungaretti, "Il tempo è muto" dà delle indicazioni interessanti.

La storia ci insegna che abbiamo due tempi: il tempo infinito e quello finito.

Al primo appartengono i fenomeni ancestrali sui quali si è sempre chinato l'uomo alla ricerca di comprensione.

Al secondo appartengono i fenomeni che riguardano la vita dell'uomo: dalla nascita alla morte.

Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura 1975, se n'è occupato con la poesia "Tempoe tempi"

Ma noi saremo in grado di sfuggire alla conta di quella metà che ci vuole depressi tra come sostiene l'OMS?

 Lo scrittore Bruno Contigiani, autore di un bellissimo libro, "Vivere con lentezza" ci dà la spinta ad uscire da situazioni dolorose:

"Per noi e per i nostri figli possiamo provare a capire e, di conseguenza, a imparare a vivere anche quando le cose appaiono o sono difficili e, perché no, possiamo anche imboccare una nuova via verso la felicità. Una felicità più fondata sull'essere che sull'avere, realizzabile a volte anche solo con una frase gentile, magari non molto originale, ma che inaspettatamente produce un contagioso sorriso. Che ci fa vedere l'essenziale senza renderci ciechi di fronte a tante cose che non vanno, una felicità che ci impedisce di sentirci migliori degli altri e per questo in diritto di sentenziare critiche feroci, sempre pronti ad indignarci, salvo poi rimanere stupiti, increduli, spaventati di fronte al dispiegarsi della rabbia dei nostri figli ancora bambini.

Una felicità collettiva e profondamente intima, da condividere, in scatola di montaggio con le istruzioni da inventare, un po' come un racconto a puntate o un'enciclopedia a fascicoli: da completare nel tempo. Legata forse alla nostra voglia di semplificarci la vita, desiderata e cercata liberandoci dalle tante cose inutili, rimanendo in equilibrio tra responsabilità e contentezza. E tutto questo solo rallentando quando possiamo e correndo quando dobbiamo, con creatività e ingegno, ironia e allegria quanto basta".

Ebbene tenerlo sempre presente.

Sforziamoci di sviluppare una relazione virtuosa con il tempo: rallentiamo quando possiamo e corriamo quando dobbiamo. Senza affanno, con naturalezza, senza stress.

E imparando a dialogare perché "la morte è nel silenzio". Così come ci ammonisce Madre Teresa di Calcutta.

 

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