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La SC sulla convivenza more uxorio: vanno restituiti all’ex gli esborsi impiegati per costruire la casa comune

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Anni di convivenza con la persona (ritenuta) della tua vita; enormi sacrifici economici (e non solo) per acquistare, costruire o ristrutturare il nido d'amore; il sentimento e la fiducia nel partner sono talmente consolidati che decidi di lasciare che l'immobile resti intestato alla tua dolce metà; tutto è pronto e pensi che finalmente potrai trascorrere il resto dei tuoi giorni in quelle tanto sudate quattro mura, ovviamente condividendole con la persona che ami. Ed invece… Puff, da un giorno all'altro il sentimento svanisce e ti ritrovi in mezzo ad una strada e con il portafoglio vuoto. Oltre il danno la beffa. Ed ora? Ed ora ci devono pensare i Giudici.

Un'introduzione, questa, che, con un po' di irriverenza (perdonatemi), descrive l'iter di molte famiglie di fatto e la conseguente tragedia che il partner abbandonato si trova a dover affrontare senza avere, quanto meno in apparenza, un titolo per avanzare pretese nei confronti dell'ex. 

Eh sì, perché, come noto, le tutele garantite dal legislatore ai conviventi sono molto risicate: la famosa legge Cirinnà (l. 76/2016), infatti, seppur di pregio, si è limitata ad attribuire loro la facoltà di disciplinare, mediante la stipula di un vero e proprio contratto (che dovrà essere redatto da un avvocato o da un notaio), i profili più rilevanti della vita di coppia e le conseguenze derivanti da un'eventuale crisi; contratto in assenza del quale, però, le sorti dei conviventi sono sostanzialmente lasciate nelle mani dei Giudici e degli istituti giuridici generali - che, in quanto tali, non sono certo attagliati alle specifiche esigenze di una famiglia - forniti dall'ordinamento.

La recente ordinanza pronunziata dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. VI, 15 febbraio 2019, n. 4659) offre l'occasione per fare il punto sulla vexata quaestio relativa alla possibilità di ottenere, in caso di separazione, la restituzione da parte dell'ex degli esborsi effettuati in costanza di convivenza more uxorio. Nello specifico, il problema si incentra sulla qualificazione giuridica dei contributi economici apportati dal partner nella famiglia di fatto: sono obbligazioni c.d. naturali (art. 2034 c.c.) - ovvero, per i non addetti ai lavori, doveri morali e sociali irripetibili (n.d.r., non restituibili) - oppure possono integrare l'ipotesi dell'ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.) e, quindi, essere ripetibili (n.d.r., da restituire)? La risposta data dalla giurisprudenza è: dipende.

La vicenda esaminata dalla Suprema Corte è la seguente. Tizio e Caia, in regime di convivenza more uxorio con prole (un figlio minorenne), ristrutturano la casa familiare. Le opere in parola vengono eseguite grazie al rilevante contributo economico di Caia che, però, non è proprietaria dell'immobile; quest'ultimo, infatti, è intestato a Tizio. Cessata la convivenza, la donna si rivolge al Tribunale di Ivrea chiedendo di condannare, ai sensi dell'art. 2041 c.c., l'ex convivente more uxorio a corrisponderle la metà del valore dell'immobile intestato al convenuto stesso. Il Giudice di prime cure accoglie la domanda, condannando Tizio al pagamento della somma di 80.000,00 €. L'uomo decide di impugnare la sentenza nanti la Corte di Appello di Torino, la quale, in parziale accoglimento del gravame, riduce l'importo dovuto dall'appellante a 25.000,00 €. Tizio ricorre in Cassazione sostenendo, per quel che qui rileva, che l'art. 2041 c.c. invocato da Caia non sarebbe applicabile in ambito di convivenza more uxorio in quanto gli esborsi effettuati in costanza del rapporto di coppia dovrebbero ricondursi all'adempimento di quei doveri morali e sociali cui fa riferimento l'art. 2034 c.c.. 

Gli Ermellini, pur dichiarando inammissibile il motivo di censura in esame (cfr., art. 360 bis, n. 1 c.p.c.), colgono l'occasione per soffermarsi sulla questione di diritto ad esso sottesa e per delimitarne i confini.

In via del tutto prioritaria i Giudici di Palazzo Cavour, allineandosi con la costante giurisprudenza sul punto (cfr., Cass. n. 11330/2009; Cass. n. 1277/2014; Cass. n. 14732/2018), ribadiscono fermamente come, in linea generale, non sussista un'incompatibilità giuridica tra convivenza more uxorio ed ingiustificato arricchimento, nulla ostando, in presenza dei presupposti di cui all'art. 2041 c.c., a che quest'ultimo operi quale rimedio per il partner impoverito.

In secondo luogo, e per contro, la Suprema Corte si sofferma sull'ambito di applicazione dell'istituto in parola, confinandolo alle ipotesi in cui, tenuto conto delle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, le prestazioni eseguite da un partner a vantaggio dell'altro esulino dall'adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza e travalichino i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.

Detto in altri termini, secondo i Giudici di legittimità, quando cessa la convivenza, il partner che ha partecipato, anche in modo rilevante, al ménage familiare non ha diritto a chiedere il rimborso delle somme versate all'altro durante il rapporto; ciò a meno che non si tratti di importi sproporzionati

Ma ecco che si affaccia un altro problema: cosa si intende per sproporzionato? La giurisprudenza sul punto non fornisce indici precisi, limitandosi ad affermare il principio secondo cui nella valutazione dei sopra richiamati limiti di proporzionalità e di adeguatezza, il giudice debba valutare la consistenza della prestazione e parametrarla alle condizioni sociali ed alla capacità economica del soggetto che invoca il sopravvenuto depauperamento.

Il consiglio? Triste a dirsi ma, onde evitare di trovarsi in balia delle onde, meglio stipulare un contratto di convivenza e mettere nero su bianco ciò che, per spirito di coppia, preferiremmo rimanesse ad uno stato di sublimazione. Triste sì, ma meglio.

 

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