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Il Museo Civico di Niscemi. L’importanza di un Museo per una Memoria condivisa

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Oggi difficilmente troviamo Comuni, piccoli o grandi, sopra o sotto dimensionati, al di là della ubicazione geografica, e che non abbia un suo spazio privilegiato che racchiuda la propria storia, le biografie dei suoi Personaggi, le opere dei suoi scrittori, strumenti di lavoro di intere generazioni. La propria Memoria.

Senza nulla togliere all'importanza dei grandi Musei, a volte capita che località, al di fuori dei grandi circuiti turistici, custodiscono veri e propri gioiellini: per le location

per i contenuti, per gli allestimenti, per la quantità e qualità degli oggetti conservati, per l'amore e la passione, in decenni e decenni, di instancabile raccolta di pezzi importanti che ci riportano lontano nel tempo, in un affascinante viaggio nella Memoria.

Niscemi, nella provincia di Caltanissetta, situata nella parte sud orientale, posta su una collina tra Caltagirone, città della ceramica e di figure importantissimi per la storia della Sicilia e dell'Italia; e Gela, città, cresciuta a dismisura dagli Anni sessanta per gli impianti petroliferi , oggi dismessi con la "promessa" di una bonifica del territorio che possa ospitare industrie ecocompatibili non nocive alla popolazione e alla natura.

A Niscemi è stato inaugurato, il 6 ottobre 2018, il Museo Civico negli ampi spazi dell'ex Convento dei frati Francescani Minori (1732 – 1737), dopo gli appropriati restauri, grazie ad un finanziamento della Comunità Europea.

A metà Anni ottanta il pittore Giovanni Valenti riuscì ad organizzare a Niscemi una esposizioni di "Oggetti della civiltà contadina della collezione privata del pittore Giovanni Valenti". Nasce la "fiammella" e si riesce a pubblicare un dattiloscritto nel 1985, "Appunti per un Museo della civiltà contadina a Niscemi", con interventi qualificati del prof. Mario Matera Frassese, del prof. Angelo Marsiano, del prof. Saro Cinquerrui, di Emanuele Zuppardo, di Salvatore Messina, di Carmelo Valenti e dello stesso Giovanni Valenti.

Scritti di valenza etnoantropologica e che indicarono una visione per la nascita di un Museo della civiltà contadina a Niscemi.

Ora bisognava passare dalla teoria alla prassi.

E qui si inserisce un personaggio che della ricerca, del collezionismo, della passione ha fatto scelta di vita: Salvatore "Totò" Ravalli. Dal 1988 al 2018 è riuscito a raccogliere 5000 pezzi etnoantropologici della civiltà contadina. In questa ricerca ha coinvolto il club al quale apparteneva, i "Lions", che l'hanno sostenuto fino ad opera compiuta. E anche oltre, grazie anche all'aiuto di alcuni volontari: il fratello Guido, "u ziu Roccu", l'attuale direttore del Museo, il dott. Franco Mongelli, soprattutto nella fase di allestimento.          

Quasi contemporaneamente fa i primi passi un'ipotesi di un Museo di Storia Naturale con un Centro di educazione ambientale come scelta didattica. I professori Salvatore Zafarana, Nuccio D'Alessandro, Enzo Liardo, Cettina Cirrone, Giusi Monteleone, Sandro Di Modica ...   rappresentano il cuore pulsante della ricerca storica/narturale/ambientale niscemese.

Entrambi i Musei venivano ospitati in spazi angusti, presi in affitto. Ma che potevano contare in numerosi volontari

Un lavoro che è durato 30 anni e che ora ha trovato gli spazi adeguati nel nuovo Museo Civico stracarico di storia, di documenti, di reperti.

 Il Museo della civiltà contadina è articolato in due piani.

Al piano terra troviamo il Chiostro e l'ex Refettorio del Convento: due gioielli di rara bellezza.

Il Prof. Salvatore Zafarana, il prof. Enzo Liardo,  Francesco Cuirrone, Manuel Zafarana, Davide Pepi, Rossella Militello, Deborah Falzolgh e Matteo Fontanella hanno curato l'allestimento di una delle due sezioni collocate nel Museo, quella di "Storia naturale". Il prof. Salvatore Zafarana precisa, in una raccolta di schede illustrando il Chiostro: "La costruzione comprende un fronte di 44 metri e racchiude all'interno un chiostro quadrato di 24 metri per lato composto da 24 metri per lato composto da 16 colonne ioniche (quattro per lato) e agli angoli quattro pilastri, su cui insistono 16 archi a tutto sesto".

Un altro gioiello è il Refettorio dell'ex convento, oggi Auditorium multi mediale

Il prof. Zafarana ne dà un'esauriente descrizione con le figure che campeggiano nella volta: dalla Madonna Immacolata, ai beati francescani Matteo Gallo e Giovanni Duns Scoto, da San Giacomo della Marca a Santa Chiara …!

Sempre nel Piano terra, troviamo l'ombrellaio, il cappellaio, i giocattoli di una volta, le misure di liquidi e solidi, l'acconcia piatti, il calzolaio, il sellaio, il barbiere, la stalla, la stanza da letto e la cucina del contadino.

Al primo piano troviamo tutti gli spazi espositivi: dal fabbro, al falegname al vasaio, alla carretteria, al ciclo dell'olio, del carciofo, del cotone, del grano; dal cestaio, all'aula scolastica, al pastore …!

Una documentazione fotografica sull'emigrazione italiana d'oltre oceano, dal 1860 al 1930, è stata donata dalla direzione del Museo dell'emigrazione di Buenos Aires, espressamente richiesta da Totò Ravalli.

Ma c'e anche una foto di gruppo della Comunità niscemese che, tra il 1957 e il 1990, era emigrata per lavoro a Uster, Canton Zurigo in Svizzera.

Al primo piano è collocato il Museo di Storia Naturale che si snoda in quattro spazi e cinque aree tematiche: geologia e paleontologia, ambienti boschivi, la sezione dei vertebrati, gli ambienti umidi, le collezioni entomologiche.

Di norma, e dietro prenotazione, è possibile visitare la Riserva naturale, custode della "Grande quercia" da un paio di centinaia d'anni fa. E, dopo, visitare il Museo.

Ritornando al dattiloscritto, citato all'inizio, "Appunti per un Museo della civiltà contadina a Niscemi", possiamo affermare, parafrasando il prof. Matera Frassese che la sua idea di "Un Museo della civiltà contadina" sia stata realizzata. Infatti egli afferma: "Un Museo tipo dovrebbe raccogliere tutto il materiale inerente al lavoro dei campi e dei vari momenti di una civiltà regolata e scandita da cicli naturali: vendemmia, mietitura, raccolti vari, autunno, inverno, primavera, estate". Ed è quanto è stato fatto.

Sempre nello stesso dattiloscritto, a mo' d'esempio immagino, la riproduzione di un progetto di un Museo etnologico a Caltagirone a cura di Sicilia Nostra riporta una frase dell'antropologo Nino Buttitta, figlio di Ignazio: "Una delle colpe più gravi della nostra classe dirigente è quella di avere consentito una progressiva cancellazione della nostra identità culturale siciliana".

Forse non è cambiato molto, ma sono sicuro che se il prof. Buttita avesse avuto la possibilità di visitare questo Museo, avrebbe dato almeno un po' di credito alle storiche "eccezioni". E questo Museo, nato grazie alle sinergie politiche e culturali, è una prova. 

 

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