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Con l'ordinanza n. 2020 dello scorso 28 gennaio, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha confermato l'obbligo di un padre di versare un maxi assegno di mantenimento ai figli maggiorenni non ancora autosufficienti, escludendo che l'elargizione di una cifra così elevata fosse dannosa per i figli stessi che, in tal modo, diventavano incapaci di adeguarsi ad un diverso ed inferiore tenore di vita.
Si è difatti statuito che "l'interesse morale è un canone che resta estraneo alla previsione di cui all'art. 337 ter c.c., comma 4: siffatta norma, infatti, nel determinare la quantificazione dell'assegno in favore del figlio, prevede che la sua fissazione intervenga in misura proporzionale al reddito di ciascun genitore, tenendo altresì conto delle attuali esigenze dei figlio, del tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, dei tempi di permanenza presso ciascuno di loro, delle risorse economiche di entrambi i genitori.".
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio con un giudizio di divorzio nel quale il Tribunale di Roma poneva a carico del marito l'obbligo di versare un contributo per il mantenimento dei figli maggiorenni di Euro 3.500,000, di cui Euro 2.000,00 da versarsi alla ex moglie ed Euro 750,000, per ciascuno, direttamente ai figli, oltre a spese straordinarie.
La Corte di Appello di Roma confermava la statuizione del giudice di primo grado, ritenendo che il contributo al mantenimento dei figli fosse congruo in ragione delle loro accresciute necessità.
Ricorrendo in Cassazione, il padre censurava la decisione per violazione e falsa applicazione degli articoli 147 e 315-bis c.c. evidenziando come la misura fissata quale contributo per il mantenimento dei figli fosse contraria alle previsioni di legge, nonché esorbitante e dannosa per i figli stessi che, in tal modo, diventavano incapaci di adeguarsi ad un diverso ed inferiore tenore di vita.
In particolare, il ricorrente evidenziava come, tra i parametri di determinazione del quantum dell'assegno di mantenimento dei figli, dovesse considerarsi anche l'interesse morale di questi ultimi. A tal fine si evidenziava come il giudice avrebbe dovuto tener presente una finalità educativa, tenendo in debita considerazione i disagi procurati nelle persone giovani che, godendo per il mantenimento di somme che si assumono eccedenti rispetto ai loro reali bisogni, quando si accosteranno al mondo del lavoro, non si adegueranno al nuovo e peggiorativo tenore di vita.
La Cassazione non condivide la posizione del ricorrente.
La Corte ricorda che l'interesse morale è un canone che resta estraneo alla previsione di cui all'art. 337 ter c.c., comma 4: siffatta norma, infatti, nel determinare la quantificazione dell'assegno in favore del figlio, prevedeche la sua fissazione intervenga in misura proporzionale al reddito di ciascun genitore, tenendo altresì conto delle attuali esigenze dei figlio, del tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, dei tempi di permanenza presso ciascuno di loro, delle risorse economiche di entrambi i genitori.
Conseguentemente, in relazione alla misura dell'assegno di mantenimento, l'interesse morale del figlio riveste una funzione strumentale dovendo consentire con la cura, l'educazione e l'istruzione, anche le frequentazioni e le opportunità di crescita sociale e professionale del figlio e non l'ingiustificata retrocessione delle condizioni di vita materiale quasi che le difficoltà educative siano ascrivibili all'ammontare dell'assegno.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come il ricorrente richiama il principio generale dell'interesse morale in vista di una riduzione sull'ammontare del quantum dell'assegno di mantenimento, senza proporre una qualunque alternativa; in particolare, nel ricorso non si allega nulla in ordine ai profili morali che avrebbero visto l'assegno corrisposto per interessi fatui e poco commendevoli.
Alla luce di tanto, la Cassazione rigetta il motivo di ricorso.
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