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Con l'ordinanza n. 3109 depositata lo scorso 15 maggio, la II sezione del Consiglio di Stato, dopo aver rilevato d'ufficio un profilo di inammissibilità dei motivi aggiunti, al fine di garantire il contraddittorio, ha deciso di assegnare alle parti 30 giorni per presentare memorie relative alla questione di inammissibilità rilevata d'ufficio, posto che non era stato possibile indicare siffatto profilo di inammissibilità alle parti all'udienza pubblica, svoltasi, in ottemperanza all'art. 84, commi 5 e 6, del d.l. n. 18/2020, in forma telematica, senza che vi fosse la partecipazione dei difensori e quindi senza che vi fosse la discussione orale.
Si è difatti precisato che nel caso in cui, ai sensi dell'art. 84, commi 5 e 6 del d.l. n. 18/2020, l'udienza sia svolta telematicamente senza la partecipazione dei difensori, ove il giudice rilevi d'ufficio un profilo di inammissibilità dell'impugnazione, deve assegnare alle parti un termine non superiore ai 30 giorni per il deposito di memorie, riservando la decisione ad altra camera di consiglio.
Il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio di Stato prende avvio da un contenzioso relativo al collocamento di un professionista all'interno di una graduatoria formatasi in seguito all'espletamento di una procedura interna di selezione verticale.
Un candidato proponeva ricorso al Tar Puglia sezione di Lecce avverso la graduatoria definitiva per "specialista professionale", denunciando di essere stato collocato al 7° posto, primo dei non vincitori, anziché in posizione utile per la nomina e sottoscrizione del relativo contratto.
Il giudice di primo grado respingeva il ricorso, sicché il ricorrente riproponeva le medesime censure del ricorso di primo grado, deducendo l'erroneità della sentenza impugnata.
Nel corso del giudizio la parte appellante depositava un atto di motivi aggiunti, notificato oltre che alle parti del giudizio di primo grado, anche ad altra candidata.
Con i motivi aggiunti il ricorrente deduceva come l'attribuzione a quest'ultima candidata di un punteggio per un titolo, relativo ad un incarico con mansioni superiori, fosse stata considerata illegittima dal TAR Puglia in un altro giudizio definito con sentenza passata in giudicato; alla luce di tanto l'appellante eccepiva l'illegittima valutazione di tale titolo anche nella procedura relativa alla graduatoria per "specialista professionale" oggetto del giudizio.
Chiamati a decidere la controversia, i giudici amministrativisti vagliano, in primo luogo, l'ammissibilità dei motivi aggiunti formulati dall'appellante.
Il codice del processo amministrativo, all'articolo 104, ammette i motivi aggiunti "qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati": i motivi aggiunti in grado d'appello sono dunque ammessi al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado mentre non sono comunque possibili "domande nuove" o "articolazioni addizionali della domanda già proposta in primo grado.
Con specifico riferimento al caso di specie, i giudici amministrativi hanno evidenziato come i motivi aggiunti formulati non rientrassero tra quelli legittimati dall'art. 104 c.p.a.: con i motivi aggiunti, infatti, erano state proposte nel giudizio d'appello censure nuove non formulate precedentemente in primo grado; era stata intimata altresì una parte non già precedentemente intimata nel giudizio di primo grado, così estendendo l'ambito di impugnazione della graduatoria oggetto del giudizio di primo grado.
Il Collegio ha ravvisato, pertanto, un profilo di inammissibilità dei motivi aggiunti rilevabile d'ufficio, senza che, in adempimento dell'art. 73 comma 3 c.p.a., potesse indicare tale profilo alle parti all'udienza pubblica.
L'udienza pubblica, infatti, si era tenuta in forma telematica senza la partecipazione dei difensori, giusta previsione dell'art. 84 commi 5 e 6 del decreto Cura Italia, che ha previsto la possibilità nel processo amministrativo di aversi il passaggio "in decisione senza discussione orale.
Alla luce di tanto il Consiglio di Stato, ritenendo di poter comunque fare applicazione della disposizione dell'art. 73 comma 3 seconda parte c.p.a. (ai sensi della quale qualora la questione rilevata d'ufficio sia emersa dopo il passaggio in decisione "il giudice riserva la decisione e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie") ha assegnato alle parti trenta giorni decorrenti dalla comunicazione dell'ordinanza, per presentare memorie vertenti sulla questione di inammissibilità rilevata d'ufficio.
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