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Con la sentenza n. 22045 dello scorso 23 luglio, la V sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per percosse e minacce a carico di una madre che aveva schiaffeggiato e intimidito la figlia, rea di aver utilizzato il proprio Ipad.
Secondo i giudici, infatti, la reazione della madre non poteva essere giustificata alla luce dello ius corrigendi, in quanto la madre, nel proprio ricorso, non aveva evidenziato nello specifico quale era stato il comportamento maleducato ed irrispettoso della figlia tale da innescare la violenta reazione animata dal preteso jus corrigendi.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una donna accusata dei delitti di percosse e minaccia in danno della figlia.
In particolare, la mamma – dopo aver notato che la figlia aveva utilizzato il suo Ipad – la schiaffeggiava al volto e le manifestava l'intenzione di volersi vendicare e di volergliela far pagare appena si fosse allontanato il padre; la ragazza impaurita, anche per il difficile rapporto conflittuale con la genitrice, si allontanava, recandosi presso il Pronto Soccorso per le necessarie cure.
Per tali fatti, sia il Giudice di Pace di Tortona che il Tribunale di Alessandria riconoscevano la donna colpevole dei delitti contestati e la condannavano alla pena di giustizia.
Ricorrendo in Cassazione, l'imputata eccepiva violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla configurabilità dei reati, deducendo come la Corte aveva formulato il suo giudizio di responsabilità basandosi sulle sole dichiarazioni della persona offesa, senza tener conto dell'astio e del rancore che figlia nutriva nei suoi confronti, comprovati dalle innumerevoli liti, anche giudiziarie, che le avevano contrapposte.
A tal fine evidenziava come le dichiarazioni rilasciate dalla figlia ai sanitari circa il fatto di essere stata percossa dalla madre contrastavano con la riscontrata assenza di segni esteriori dello schiaffo; in merito al reato di minacce contestava che le espressioni pronunciate sarebbero state prive di qualunque effetto intimidatorio ove contestualizzate nel burrascoso rapporto madre - figlia.
In ultima istanza la donna si doleva per il mancato riconoscimento della scriminante dello jus corrigendi, essendo stato lo schiaffo determinato dalla volontà di reagire al comportamento della figlia che indebitamente aveva preso visione dei messaggi registrati sul proprio apparecchio 'Ipad'.
La Cassazione non condivide le doglianze formulate.
Gli Ermellini rilevano come le censure mosse dal ricorrente non si confrontano con la motivazione delle sentenze dei giudizi di primo e secondo grado, ove sono stati logicamente e congruamente valorizzati tutti i dati probatori a carico dell'imputata, con motivazione che si sottrae allo scrutinio della Corte di Cassazione.
Circa la configurazione del delitto di cui all'art. 612 c.p., gli Ermellini evidenziano come le espressioni pronunciate dall'imputata dovevano considerarsi come potenzialmente idonee ad incidere sulla libertà morale della figlia perché dotate di credibilità, riguardo proprio alla violenza usata dalla madre nell'ambito del loro rapporto altamente conflittuale.
Da ultimo, la Corte esclude l'applicabilità della scriminante dello jus corrigendi, in quanto la madre, nel proprio ricorso, non ha evidenziato nello specifico quale era stato il comportamento maleducato ed irrispettoso della figlia tale da innescare la violenta reazione animata dal preteso jus corrigendi.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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