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È incostituzionale la norma che consente "che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati nel regolare l'astensione degli avvocati nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare, interferisca con la disciplina della libertà personale dell'imputato". Questa la pronuncia della Corte Costituzionale, pubblicata ieri, che sostanzialmente conferma la correttezza dei giudici del Processo Aemilianell'aver fatto proseguire le udienze nonostante lo sciopero degli avvocati del maggio 2017. Il collegio giudicante non aveva sospeso le udienze, nonostante lo sciopero, adducendo come motivo l'interesse degli imputati detenuti, che per effetto dello sciopero avrebbero visto aumentare il loro periodo di detenzione.
La Corte Costituzionale, presidente Giorgio Lattanzi, nella sentenza 180 depositata ieri, accoglie le argomentazioni che avevano portato il collegio giudicante a porre la questione di legittimità costituzionale. Nel dettaglio, la corte dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2 bis della Legge 146/90 (esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali) nella parte in cui "consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati interferisca con la disciplina della libertà personale dell'imputato".
La questione - ricostruisce La Repubblica - "era stata sollevata lo scorso anno dal giudice Francesco Caruso, presidente della Corte che sta gestendo il maxiprocesso "Aemilia", a Reggio Emilia: lo scorso anno aveva deciso di andare avanti con le udienze nonostante lo sciopero dei legali. Una decisione che era stata impugnata da alcuni avvocati arrivati a sostenere la tesi secondo cui il processo, a partire dall'udienza incriminata, andava completamente annullato e rifatto.
Da qui la richiesta di parere alla Consulta da parte del giudice Caruso che aveva sostenuto come l'imputato, a causa delle astensioni, "subisse restrizioni della libertà personale per motivi diversi da quelli espressamente considerati dalla legge". La decisione della Corte (relatore Giovanni Amoroso) mette una pietra tombale sulla questione bocciando i legali.
La sentenza depositata ieri si fonda sull'articolo 13 della Costituzione, in base al quale "soltanto il legislatore può intervenire in una materia che incide sulla libertà personale e stabilire la durata della custodia cautelare". Ed è per questo che esiste una illegittimità costituzionale dell'articolo 2 bis nella parte in cui consente (o meglio non preclude) che il codice di autoregolamentazione interferisca con la disciplina legale dei limiti della custodia cautelare e dunque della libertà degli imputati.
"Quella della Consulta è una sentenza oscura: non si capisce se ha allargato la possibilità degli avvocati di astenersi dalle udienze, a prescindere dalla volontà degli imputati, o se invece l'ha esclusa quando ci sono imputati detenuti". A criticare la pronunzia è l'avvocato ed ex parlamentare Gaetano Pecorella, che davanti alla Consulta ha sostenuto le ragioni dell'Unione delle Camere penali, di cui è stato presidente".
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