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Con l'ordinanza n. 32575 dello scorso 17 dicembre, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha accolto la domanda di un avvocato che – nel chiedere la liquidazione degli onorari a lui spettanti per un ricorso presentato ex legge Pinto – si doleva dell'esiguo importo liquidato dalla Corte di Appello a titolo di compenso legale, ritenendolo lesivo della dignità e del decoro della professione legale.
La Corte, avallando le richieste del professionista, ha statuito che – a differenza del libero professionista che può liberamente determinare il proprio onorario con il cliente – il giudice non può effettuare una liquidazione che si ponga al di sotto dei limiti imposti dal D.M. n. 55, tenuto conto del valore della causa e pur applicando la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell'affare.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dal ricorso ex art. 3 legge 89/2001 depositato presso la Corte di Appello di Perugia e volto ad ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell'indennizzo derivante dalla irragionevole durata di un giudizio, durato oltre sette anni, svoltosi innanzi alla Corte d'Appello di Roma.
La Corte di Appello di Perugia accoglieva la domanda e condannava il Ministero convenuto al pagamento delle spese di lite in favore della controparte, quantificando i compensi legali dovuti in Euro 203,00.
Il legale, ricorrendo in Cassazione, impugnava la decisione della Corte di Merito proprio nella parte relativa alla quantificazione degli onorari dovuti, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e dell'art. 2233 c.c. in relazione al DM. n. 55/2014: in particolare, rilevava come l'importo liquidato dalla Corte territoriale, pari ad euro 203,00, fosse inferiore ai minimi tariffari di cui al DM. n. 55/2014, con la conseguenza che siffatto compenso, così modesto, ledeva il decoro professionale dell'avvocato.
La Cassazione condivide le doglianze del ricorrente.
In punto di diritto gli Ermellini delineano brevemente il quadro normativo applicabile a seguito degli interventi sulla liberalizzazione della concorrenza e del mercato.
In particolare, a seguito del d.l. 1/2012, in adempimento delle indicazioni europee volte a favorire la liberalizzazione delle professioni attraverso la rimozione dei limiti tariffari massimi e minimi, è stato emanato il DM 140/2014, che lascia alle le parti contraenti (nella specie, l'avvocato e il suo assistito) la libertà di pattuire il compenso per l'incarico professionale.
Ciò non implica, tuttavia, che anche il giudice è libero di stabilire i compensi, essendo lo stesso tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55.
Quest'ultimo decreto, infatti, prevale sul D.M. n. 140, non per mere ragioni di successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità: mentre il D.M. n. 140 è generalista, essendo rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente, il D.M. n. 55 detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.
Chiarita la sfera di competenza, gli Ermellini compiono un'ulteriore, importante, precisazione.
Quale decreto avente valenza speciale, il D.M. n. 55/2014 ben può derogare le disposizioni del decreto 140 incompatibili con esso: ne deriva che l'art. 7 comma 1 del decreto 140 – nella parte in cui stabilisce in via generale che "In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa" – è derogato dalla disposizione speciale di cui all'art. 4 del decreto 55, nella parte in cui stabilisce un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti, al di sotto del quale non è possibile scendere.
Ciò affermato in punto di diritto, la sentenza in commento evidenzia come nel caso di specie – in palese violazione del sopracitato art. 4 - la liquidazione effettuata dalla Corte territoriale in complessivi Euro 203,00 si ponga al di sotto dei limiti imposti dal D.M. n. 55, tenuto conto del valore della causa (da Euro 1.100,01 a Euro 5.200,00) e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell'affare.
Applicando i parametri dovuti, infatti, il compenso liquidabile – in luogo dei miseri 203,00 euro riconosciuti – sarebbe dovuto essere pari ad Euro 1198,50 (di cui Euro 255,00 per la fase di studio, Euro 255,00 per la fase introduttiva, Euro 283,50 per la fase istruttoria, Euro 405,00 per la fase decisionale), oltre IVA e spese generali.
In ragione di tanto, il ricorso viene accolto con cassazione del decreto impugnato e liquidazione di tutte le spese legali, comprese quelle di legittimità, dovute.
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