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Marco Tullio Cicerone, l'Avvocato di Roma: "Nulla può essere più caro agli uomini della Giustizia"

Marco Tullio Cicerone, l'Avvocato di Roma: "Nulla può essere più caro agli uomini della Giustizia"

Marco Tullio Cicerone (Arpino, 3 gennaio 106 a.C.Formia, 7 dicembre 43 a.C.) è stato un avvocato, politico, scrittore e oratore romano.

Esponente di un'agiata famiglia dell'ordine equestre, Cicerone fu una delle figure più rilevanti di tutta l'antichità romana. La sua vastissima produzione letteraria, che va dalle orazioni politiche agli scritti di filosofia e retorica, oltre a offrire un prezioso ritratto della società romana negli ultimi travagliati anni della repubblica, rimase come esempio per tutti gli autori del I secolo a.C., tanto da poter essere considerata il modello della letteratura latina classica.

Attraverso l'opera di Cicerone, grande ammiratore della cultura greca, i Romani poterono anche acquisire una migliore conoscenza della filosofia. Tra i suoi maggiori contributi alla cultura latina ci fu senza dubbio la creazione di un lessico filosofico latino: Cicerone si impegnò, infatti, a trovare il corrispondente vocabolo in latino per tutti i termini specifici del linguaggio filosofico greco. Tra le opere fondamentali per la comprensione del mondo latino si collocano invece le Lettere (Epistulae, in particolar modo quelle all'amico Tito Pomponio Attico), che offrono numerosissime riflessioni su ogni avvenimento, permettendo di comprendere quali fossero le reali linee politiche dell'aristocrazia romana.

Cicerone occupò per molti anni anche un ruolo di primaria importanza nel mondo della politica romana: dopo aver salvato la repubblica dal tentativo eversivo di Lucio Sergio Catilina ed aver così ottenuto l'appellativo di pater patriae (padre della patria), ricoprì un ruolo di primissima importanza all'interno della fazione degli Optimates. Fu infatti Cicerone che, negli anni delle guerre civili, difese strenuamente fino alla morte una repubblica giunta ormai all'ultimo respiro e destinata a trasformarsi nel principatus augusteo

Cicerone si dichiara convinto che l'impegno sociale e politico sia preferibile alla ricerca individuale della sapienza e quindi alla filosofia, almeno come essa era intesa dai Greci dell'età ellenistica. La tradizione romana è superiore a quella greca.
De officiis, I, 153-155
1 Si stabilisce pertanto che sono piú consentanee a natura quelle azioni doverose determinate dal sentimento sociale di quelle derivanti dalla sapienza, il che si può confermare con questo argomento: se toccasse in sorte ad un sapiente tal genere di vita che, in mezzo all'abbondanza di ogni cosa, [sebbene] egli potesse meditare e contemplare tra sé e sé in massima tranquillità tutti quei problemi che sono degni d'indagine; se però anche tanta fosse la sua solitudine da non poter vedere ombra d'uomo: egli allora si potrebbe uccidere.
Quella sapienza [sapientia] che è regina di tutte le virtú, e chiamata dai Greci sophía – con il termine di prudenza [prudentia], che i Greci chiamano phrónesis intendiamo un'altra qualità, consistente nella scienza [scientia] del desiderare o fuggire determinati oggetti –, quella sapienza, dico, che ho chiamato la prima virtú, è la scienza delle cose umane e divine, la quale abbraccia le relazioni e la stessa reciproca società degli dèi e degli uomini; e se essa è, come lo è sicuramente, la massima virtú, il dovere [officium] piú grande è quello che deriva da questi rapporti stessi. Infatti la conoscenza e la contemplazione dell'universo sarebbe in certo senso manchevole ed embrionale, se non vi tenesse dietro alcuna attività. Siffatta attività si manifesta soprattutto nella tutela dei vantaggi propri dell'uomo, e pertanto interessa la società del genere umano; e quindi è da preporre alla sapienza [cognitio].

2 Ogni uomo per bene [optimus] pensa cosí e lo dimostra con i fatti. Chi infatti è tanto infervorato nella contemplazione e nella conoscenza della natura, non abbandonerebbe tutto questo, nel caso gli venisse annunziato all'improvviso, mentre si occupa e contempla oggetti degnissimi di conoscenza, un qualche pericolo o rischio della sua patria, alla quale egli sarebbe in grado di sovvenire e portare aiuto? Non butterebbe via tutto, anche se pensasse di essere in grado di contare le stelle o misurare la grandezza del mondo? Ed il medesimo egli farebbe nell'occorrenza o nel pericolo del padre, di un amico. Da ciò si capisce come allo studio ed al dovere della conoscenza [scientia] vada anteposto il dovere della giustizia, che interessa la stessa utilità umana, della quale nulla vi può essere di più caro per un uomo. [...]
(Cicerone, Opere politiche e filosofiche, UTET, Torino, 1953, vol. I, pagg. 408-409)

 

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