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Casa coniugale: precarie condizioni di salute del coniuge richiedente non giustificano l'assegnazione

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Con l'ordinanza n. 16740 depositata lo scorso 6 agosto, la I sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su una separazione con richiesta, da parte della moglie, dell'assegnazione della casa coniugale, ha respinto le istanze della donna che insisteva per l'assegnazione, sebbene i figli maggiorenni non convivessero più con lei, per le sue precarie condizioni di salute.

Si è difatti precisato che il giudice, nel disporre l'assegnazione, non può prescindere dall'affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, che costituiscono il presupposto inderogabile dell'assegnazione; particolari condizioni di salute dell'avente diritto non legittimano l'assegnazione della casa coniugale in mancanza del surriferito presupposto.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Salerno, chiamata ad pronunciarsi su una separazione tra coniugi, revocava l'assegnazione della casa coniugale disposta in favore della moglie con l'ordinanza presidenziale resa ai sensi dell'art. 708 c.p.c..

Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno proponeva appello la moglie censurando le ragioni della decisione relative alla revoca dell'assegnazione della casa coniugale, chiedendo pertanto che la casa coniugale fosse assegnata in suo favore. 

La Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale, ritenendo che fosse venuto meno il presupposto per l'assegnazione della casa coniugale: la figlia maggiorenne, divenuta autosufficiente, aveva contratto matrimonio e viveva in altra località, mentre il figlio si era trasferito in un'altra abitazione.

Ricorrendo in Cassazione, la donna denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 337 sexies c.c., per aver la Corte di Appello, ritenuto imprescindibile, ai fini dell'assegnazione della casa, la convivenza con i figli, laddove l'art. 337 sexies c.c. dispone che il godimento della casa coniugale è attribuito tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli; a tal fine la ricorrente – dopo aver illustrato la natura e la funzione dell'assegnazione della casa coniugale e pur dando atto del rilievo primario da attribuire all'interesse dei figli – forniva quella che, a suo avviso, era la corretta lettura dell'art. 337 sexies c.c., incentrata sulla rilevanza da attribuire all'avverbio "prioritariamente", rispetto all'avverbio "esclusivamente".

In seconda istanza la donna rivendicava l'assegnazione della casa deducendo la necessità di abitarvi per importanti problemi di salute.

La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente. 

La Cassazione precisa che, nell'assegnazione della casa coniugale, non può mai trascurarsi la valutazione del persistente interesse dei figli affidati a risiedere nella stessa, in quanto la ratio dell'istituto è specificamente l'esigenza di assicurare ai figli la permanenza nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti e dove si incentrano gli interessi e le consuetudini della famiglia di appartenenza: il giudice, nel disporre l'assegnazione, non può prescindere dall'affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, che costituiscono il presupposto inderogabile dell'assegnazione. Ne deriva che particolari condizioni di salute dell'avente diritto non legittimano l'assegnazione della casa coniugale in mancanza del surriferito presupposto.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto, in applicazione dei principi giurisprudenziali, che fosse venuto meno il presupposto per l'assegnazione della casa coniugale, in quanto i figli delle parti in causa, entrambi maggiorenni, non convivevano più con la madre.

Alla luce di tanto, le condizioni di salute della ricorrente non legittimavano l'assegnazione della casa coniugale tenuto conto dell'assenza dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni non ancora autosufficienti.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente e al il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso. 

 

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