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"Io difendo! Sarete grandi se sarete umili, o giudici". Bruno Cassinelli, il grande penalista

"Io difendo! Sarete grandi se sarete umili, o giudici". Bruno Cassinelli, il grande penalista

Bruno Cassinelli (Firenze 1893 - Roma 1970), avvocato penalista del Foro di Roma, deputato socialista nel 1924, oratore celebre, esperto di psico-patologia e psichiatria forense, autore di numerose opere di saggistica giuridica, tra cui : Storia della pazzia, Edizioni Corbaccio, Milano 1935, che ebbe quattro edizioni.

da: lo difendo, "Per Erostrato", Corbaccio, Milano 1941

Male farete, Cittadini di Efeso, se di Erostrato, incendiario per virtù del suo orgoglio, voi vorrete occultare il nome, come vi fu consigliato.                                                                                                                        Erostrato è più che un uomo, meglio di un simbolo: è il diritto, malinteso, ma disperato, di esser tutto, di compiutamente esistere. Il suo diritto di passare alla storia non è l'impeto di un qualunque amareggiato della politica spicciola. Quando vi avrò illuminato questo vostro Erostrato, e quando ve l'avrò meglio collocato in una più esatta prospettiva, il dramma del Tempio bruciato sarà inferiore a quello che voi avrete compreso ardere nel cuore dell'incendiario. La stupida legge del taglione più serve; morte per morte, vita per vita, fuoco; voi dovreste uccidere un`anima, non un corpo. L'anima di Erostrato e divorata e disseccata da un'immensa arsura. A che serve punire ciecamente, morte per morte? I motivi interiori della tragedia sono coi esasperati, vertiginosi, da farne ritrarre qualunque uomo non attorto dal male meraviglioso: la pazzia.

Voi conoscete il resto: l'incendio del Tempio di Diana, qui, ad Efeso. Un Tempio che è anche una Banca.Voi conoscete il confessato motivo dell'atto criminale: passare in u modo qualunque - anche il più rovente - alla storia.Una pregiudiziale d'indole psichiatrica non può essere rifiutata. L'ambizione è un fermento dell'evoluzione e del progresso. È una capacità di manovra che conduce, o dovrebbe condurre, ad una serie positiva di fatti; se non altro per l'ambizioso. Ma allorché l'ambizione diviene così ossessiva, allora è la follia. Pazzia, cittadini di Efeso, è l'impossibilità di allineare i mezzi col fine; ed è pazzia bruciare un Tempio per segnare il proprio nome sul disordinato libro della storia. Questo incendio, se avesse avuto in Erostrato fu esecutore interessato, sarebbe stato delitto: ha per sfondo una causale così astratta e vaga, così assurda al cuore vostro e al vostro cervello, così inconcepibile e disperata, da essere solamente follia. Nessun movimento umano vale come prova di responsabilità se non è agganciato a motivi che noi uomini riconosciamo reali o comuni. Il reato presuppone responsabilità solamente a patto di far riconoscere a chi giudica di essere anche lui capace dello stesso delitto. Allorché si riconosce che un fatto criminale è stato compiuto attraverso motivi che non hanno nessuna rispondenza nella condotta degli uomini, noi deduciamo il senso della irresponsabilità.

Da ciò si tragga la legge che la pazzia e la tirannide di una idea o l'evento di una volontà non socializzata; è, cioè, l`idea di un uomo "solo", che ha perduto il contatto con l'umanità.  Ma l'odio dei giudici - o meglio di giudici come voi - non conosce queste civili perplessità. Vi è stata chiesta una condanna anonima. Al tentativo reclamistico di Erostrato, Efeso sogna di opporre una morte silenziosa.Dato che lo strano eroe è voluto passare alla storia non vivo, ma morto, vi è stata domandata una punizione intesa a togliergli la vita e la morte: fine di Erostrato come corpo e anima, carne e personalità. É così avventurosa e folle l'azione di Erostrato che voi stessi tentate coniare una nuova legge. Il reato è eccezionale, d'accordo; e voi vi accanite nell'osare una punizione illegale perché costituisce una mostruosità; e imponete la distruzione del nome di Erostrato. Il fatto che un pazzo possa esser logico nella sua follia ci conduce a porre dei quesiti: può un uomo dotato di una chiara decisione, alla quale egli addentella e subordina ogni altra logica, esser ritenuto pazzo? Questa volontà totale possiede in sé possibilità di attracco al molo delle volontà umane collettive? Se trasportate la questione della responsabilità sotto il microscopio della capacità di volere - trascurando quella ben più importante dell'intendere - il vostro modo di diagnosticare risulterà empirico. Erostrato e stato costretto all'azione da un senso tutto metafisico e astratto della gloria e dell'immortalità. Ammettere che osare di passare alla storia incendiando il vostro ricco Tempio, non è precisamente un modo d`intendere la vita sociale.

La legge psichiatrica del delitto estetico è fissata. C'è una forma di avidità estetica, senza lucro e convenienze pratiche, parossistica; come per la fiamma ed il fuoco. È la iconoclastica pazzia per le forme anormali e ancestrali della bellezza. E il crimine vuoto e inutile della fiamma che si attorce: la fiamma è bella. Il sogghigno criminale diviene un volto voluttuoso; è un amoroso colloquio fra lui e la bellezza terribile e sconosciuta. Forse, trabocca in lui come un profondo grido sessuale. É il suo modo di godere. E il suo modo di sentire. Un delitto senza guadagno: un delitto offerto agli occhi e al proprio amore. Come chiamate voi, gente di Efeso, un crimine senza calcolo e furberia: immediato come l'amore a prima vista; un crimine che non serve se non a godere con la mente? Quel delitto esce e s`allontana nettamente da ciò che gli uomini intendono per crimine. E' un assurdo favoloso divenuto improvvisa realtà mostruosa. La bella follia di Erostrato. Il vostro Erostrato applica tendenziosamente il grido di Eraclito: "Tutto passa e muta", per rimanersene, lui - invitto - sulle rovine del Tempio, passato e mutato. Senza saperlo, Erostrato riafferma Eraclito e lo conferma: tutto muta è vero e dalla gloria di un Tempio morto e disseccato si inorgoglisce l'anima di un nuovo tipo di eroe. In questo mutamento, Erostrato riacquista molti diritti da voi ingiustamente strappatigli. Nelle stabilite forme del vivere sociale, gli uomini hanno marmificato diritti e doveri.

 Si può divenire un grand'uomo a determinati patti; una valutazione tutta umana delle qualità creative Io vi chiedo: che differenza fate fra Erostrato, distruttore di marmo e mosaico, e un filosofo che vi distrugge tutto un mondo morale e spirituale. Se esiste una possibile discriminazione, l'onta maggiore cade su colui che con carta e inchiostro rode e dissolve di molto più importante che le mura di un Tempio. La sola differenza che voi fate, viceversa, e che a Erostrato date morte, al filosofo gloria. Un ladro della via maestra vi impressiona più che un filosofo nichilista. Ma badate: se voi negate la pazzia di Erostrato, dovrete più tardi ammettere il suo genio. Questo riconoscimento sarebbe torbido e pericoloso. A voi manca il testo della confessione dell imputato. Voi stessi non o avete voluto ascoltare. Peccato! Cosi non sapremo mai se l'incendio fosse lo scocco di un fulmine mentale, o il primo esercizio pratico di un metodo filosofico. Non sappiamo né sapremo se la fiaccola di Erostrato fosse la genesi di una rottura psichica, o l'estremo sviluppo di una idea di battaglia. E in un reato così eccezionale le vie di mezzo vanno escluse: o genio, o follia. Il quesito e inesorabile. Ma pensateci: non e possibile coniarne un altro. Allorché io volli assumere il peso di questa causa, mi stupì la volontà tenace, piena, dilagante di Erostrato: quella di passare alla storia. Mi stupì il senso morale di costui, attaccato fino al delitto ad una convenzione così umana come quella della storia e del "ricordo memore". La pazzia può essere, dunque, un dare eccessivo peso alle formule del vivere sociale. La pazzia è asocialità, ma può divenire - eccezionalmente - un parossismo di ipersocialità. Allora volli insistere nella ricerca di quali siano i motivi per giungere a iscriversi sulle tavole, categoriche od effimere, della storia_.Mi son dovuto convincere che nella storia non esiste spazio per molti movimenti individuali. Sembra che il rientrare nella storia sia più un dovere che un diritto. Da qui la ribellione di Erostrato.

La storia non si violenta: essa ingoia e assimila. Il vostro Erostrato ha tentato di violare una forza che, per sua stessa essenza, stupra essa stessa.

Solo, anima candida, Erostrato ha gemuto: "Anch'io, anch'io, anch'io"_ E lenta la vita gli cammina accanto, sopra, addosso, dimentica che un uomo può urlare e impazzire dal dolore di essere nulla. Allora, Erostrato volle fermare l'apparato motore che aziona la storia; volle creare una nuova molla: e lui stesso, per primo, ne fu stritolato. E la molla nuova, dopo la prima vittima, non funzionò più. Ecco perché l'incendio fu il risultato di un singolare, paranoico modo di polemizzare. E una polemica che s'inizia così bruscamente deve aver dentro una grossa forza guerriera o spirituale.  Ho parlato di follia geniale a ragione veduta, come ora vi accorgerete. Una polemica? Ma contro che cosa? Contro il metodo della vita mediocre e anonima. Morire per sempre: morire è tremendo; l'uomo non ci pensa, perciò vive. Guai a pensarci: deve venir dentro come un male che fa marcire. Erostrato deve aver avuto nella carne e nell`anima questa orribile stigmate. Per un essere vivo, di forte vitalità, questo terrore è peggio della morte. Rigurgitano in lui, allora, volontà e desideri di sopravvivere, di rimanere, di continuare, d'incidere, di scolpire. Erostrato non ha voluto sparire, annichilirsi. Ed ha saputo rimanere.

Riassumo: follia filosofica.

Che Erostrato abbia mentito nel confessare di aver incendiato per passare alla storia? Questa è una freccia avvelenata che scocca da quei Pubblici Accusatori che in tutte le aule di giustizia godevano e godono di disonorare l'onore, di appiattire ed abbrutire ogni slancio di vita, ogni sogno di bellezza.

Sadismo fiscale.

Ma Erostrato si è consegnato alla vostra giustizia in quanto era il solo mezzo efficace perché egli - con un giudizio legale e ragionato - potesse vedere iscritto il suo nome fra i nomi che non morranno. Questa è una prova circa la verità della sua confessione. Se Erostrato avesse mentito, i motivi del crimine apparirebbero allora oscurissimi. Un fanatico? Un martire? Ma a che cosa sarebbe valso quel suo sacrificio se egli stesso rifiuta di spiegarne i motivi? Un attentato causato da un insolente odio nascosto e tenace? Un beffa mortale? Un suicidio vanaglorioso Non vi dispiaccia l' allusione ad un suicidio vanaglorioso Dato che vuol morire, Erostrato rende teatrale questa sua morte. Ma anche questa tesi converge nella infermità mentale, poiché l'uomo vive e si dimostra intero attraverso l`istinto della conservazione, molla della vita. La concordanza diagnostica è impressionante. Anche se noi vogliamo un Erostrato diverso, anche se noi inventiamo un nuovo Erostrato, con motivi criminosi escogitabili, non possiamo concedergli causali logiche e normali. Sempre, le idee, i pensieri, le volontà, gli impulsi che in sede di discussione noi concediamo a Erostrato, appaiono subitamente e sublimamente pazzeschi. Non riusciamo a incastrarlo, neppure con sforzo, in un mondo concettuale e materiale affine al nostro. Erostrato e fuori di noi.

Noi siamo entro la cornice del quadro sociale. Raramente, e senza efficacia alcuna, noi abbiamo pensato di staccarci dalla tela. Erostrato si separa dalla tela e dal mondo consanguineo delle altre innumeri figure. E se va solo, altero e martellato dall'orrore, a farsi un destino proprio, liberato e avulso da querimonie sociali e da tutti gli altri destini. Vuol passare alla storia: non ha capacità, non ha mezzi, non ha facoltà. Egli non e Circe, né un uomo di stato; non può perciò arrischiare un grosso gioco di energie umane. Egli e solo; e da solo si accinge a riconfermarsi il diritto di disporre di sé e di non morire mai.

 Mi chiedo, e vi domando, se accendendo il falò più celebre della storia, Erostrato non abbia voluto sollevare un'obiezione. Una grave obiezione che coinvolge dati fondamentali del vivere sociale. Il mondo non appartiene solamente al diritto, ma alla forza. Si è veduto sorgere Roma, morire Cartagine, spegnersi Atene: nella tragedia quotidiana per la selezione del migliore, bruciano le nazioni, si dissolvono gli stati, crollano le idee e le città; e chi ha bruciato, divorato, distrutto, sorge fiero e solenne, a godersi la morte che attorno dissolve; ma già dentro palpita il senso sconosciuto e inesorabile della nuova vita. Erostrato, uomo e non popolo, individuo e non collettività, non fa che imitare, copiare a puntino, ciò che in grande si svolge attorno a lui. Come in tutti coloro che hanno un messaggio interno da bandire, il genio non sorge che attraverso la teatralità e lo scalpore dei mezzi usati per fermare l'attenzione pubblica. È Cristo che dice: "È più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli". Ma è proprio vero? E perché? Questa e una trovata che non tien conto di tutte le sfumature. Ma è una meravigliosa forma di pubblicità - a cui anche il divino Maestro dovette adattarsi - perché la folla sostasse ad ascoltare (Tipica la scelta del motto: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò"). E la scena tempestosa e "piazzaiuo1a" contro i mercanti del tempio? Perché non avvertirli prima?

È Lutero che - ebbro e iperemico e iperteso - batte intorno a sé il tamburo festoso del ciarlatano: "Comandi la natura e non la legge: e se Cristo ha pagato per tutti, chi appartiene a Cristo in ispirito ha gratuitamente ottenuto la salvezza". Son giuochi di prestidigitazione che occultano la nascita di un mondo religioso e politico.

È Diogene che divulga i suoi motivi filosofici con l'ausilio della botte famigerata. Miope pagliaccio: "Io cerco l'uomo". Strafottente e petroliniano; "Togliti davanti: mi levi il sole".

É Socrate, più noto di qualunque filosofo antico, che spettegola con Santippe e il suo barbiere, e può quindi fare a meno di scrivere libri faticosi.

È Archimede che con il plastico immediato del bagno dà forma pubbliitaria alle leggi fisiche.

È Dante che trova utile sopportare la fama di mago e non smentisce mai di essere stato veramente all'inferno, come ripetono le donne di Verona e di Firenze.

È Paolo santo: "Chi non lavora non mangia".

È Savonarola che si mette a capo di bande di balbini saccheggiatori.

È la Madonna Povertà di S. Francesco che balla in piazza per conquistare i folli alla sua lirica filosofica.

È Bruno, l'eroe de: "Lo spaccio della Bestia Trionfante".

È Cartesio: "Penso, dunque sono".

È Machiavelli: "Il fine giustifica i mezzi".

È Beccaria: "I giudici gareggiano con i delinquenti nella barbarie". E così inaugura la civiltà giuridica.

È Marinettí: "Uccidiamo il chiaro di luna" - "Marciare e non Marcire ! ".

È l'utopista Lenin: "Tanto peggio per la realtà". "Se fossi un cadavere non troverei in Russia un becchino capace di seppellirmi".

È Freud: "Tutto è libido" ~ "La verità e solo nel sogno".

È Einstein: "La matematica è un'opinione".

È Pinel che spezza, lui, le catene dei pazzi e non incarica gli infermieri, per dare scenario alla sua figura di medico rivoluzionario.

È. Lombroso: "Genio e follia" ~ "Delinquente nato" - "La prostituzione è l'equivalente della delinquenza".

Fermenti gettati all'uomo della strada, così che il mondo discute ancora le scoperte dell'antropologia.Il paradosso è il culto della menzogna per innamorare i distratti della verità. (... Quante chiome ondose servirono a far conoscere teste di musicisti! Quante calvizie ritardarono il riconoscimento del genio. La funzione delle chiome e delle barbe è ineliminabile nella storia e nella fortuna degli apostoli, dei geni e degli eroi. E non importa se molte volte la chioma ha simulato l'esistenza del cervello).                        Queste sono prove, prove che il genio ha necessità del fragore fulmineo per raccogliere attorno a sé platea e loggione. La reclame è molto, è l'anima, non solo del commercio; perché diffondendo, impone (le campane sono la mistica reclame di Dio); perché facendo vendere, arricchisce. Ma Erostrato si inazzurra su un piedistallo più alto, perché gli altri autoreclamisti vogliono vivere, non morire.              Erostrato ha difeso sé stesso: la difesa dell'  "Io" superiore immarcescibile. L' Io divenuto collettivo costruì superstrutture e montature che valgono ora, dopo millenni di prova, come espressi  e precisi fatti di coscienza. Male o bene, fu arrugginita la dinamica dei valori. Il bene e il male ebbero nicchie loro, e si fermarono nell'eternità, tutta effimera, degli uomini. E Erostrato venne impedito di essere; ed egli amò cercare il suo volto sia pure attraverso la sua caricatura: sua nel senso più possessivo della parola. Un tentativo prodigioso e incompreso: "La storia sono io". Erostrato attaccò lotta con le cose perché solamente in esse egli trovò il modo di offendere gli uomini. Con il sarcasmo peggiore, il vostro Erostrato si riconobbe il diritto di passare alla storia compiendo un atto che solamente quando è collettivo (la guerra: "Una notte di voluttà riempirà i vuoti", pensa reclamisticamente un generale), concede tanto onore. Non è acquisita alla storia, per esempio, la distruzione di Gerusalemme? Non vi sono nomi; è la massa; ma il fuoco arde nell`identico modo. Quel tale popolo mise a sacco e a fuoco una città? Bene: Erostrato fece altrettanto con un Tempio; era solo ed Efeso era troppo grande.

Voi mi obiettate: quel dato popolo compì un gesto di guerra. Anche Erostrato era in guerra: una guerra che egli dichiarò da solo, una guera contro tutti. La cosa vi fa ridere? No: fa piangere. Egli aveva dovuto giungere al massimo della sua sopportazione. Si sentì solo, non unito agli altri, con i sui amori e i suoi rancori. L'"Io" e una forza, forse la forza; questa forza si senti in procinto di essere resa vana dalla disattenzione e dall'oblio: reagì.  Come reagì, voi di Efeso sapete. Piuttosto che rassegnarsi, Erostrato aspirò ai pinnacoli e ai metodi della follia la sua propria individualità. Nessun gesto di bene avrebbe potuto aiutarlo a rimanere nella memoria degli uomini per soli cento anni. Niente da fare: o costruire le piramidi o distruggerle. Erostrato non esitò. Erostrato e la rivoluzione, che mancata, si gonfia e scoppia nella risata sprezzante di chi si accinge a pagare di persona. Il primo attentato anarchico della storia; uno dei primi atti rivoluzionari dell'umanità: ecco ciò che aiuta Erostrato a rimanere nel ricordo degli uomini. Egli precede la profetistica ebraica e Catilina e Cristo: egli ha tre secoli e mezzo di vantaggio su coloro che, più che agire, parlarono. Erostrato non parla, non sorride, non inquadra la sua personale reazione nel più vasto ambito di una giustizia sociale. Forse, non è capace di dettare una legge e una regola di rivolta: egli sente acutamente l'assurdo di un Tempio che era un po' Banca e un po' Borsa, ma incapace di riscontrare se nella folla disgraziata d'attorno soffrono e palpitano i suoi medesimi rancori.

Gesù troverà dodici fratelli che gli concederanno di creare sul proprio impulso un sistema per la rivoluzione. Erostrato, solo, elementare, non conosce l'arte dell'azione collettiva. Il collettivismo, il senso della massa, l'uomo li acquisterà più tardi, dopo diecine di secoli di convivenza. Quando li acquisterà completamente, avremo le profonde scosse sismiche, annunciatrici delle rivoluzioni europee. Vivente in proprio, irretito nei suoi odi e nei suoi rancori, Erostrato si farà giustizia da sé. Ma spiegare il perché l'incendio sia giustizia, Erostrato non lo può. Egli sente confusamente di aver commesso qualcosa di prodigioso, ma il nemico da lui combattuto non ha volto, occhi, bocca, denti: e un nemico senz'anima e senza corpo, esistente e coesistente in ogni dove. Egli non può spiegare che il suo odio è metafisico, è, cioè, contro la legge in generale. Erostrato non poteva dimostrare che l'organizzazione politica, sociale, economica del suo tempo fosse da demolire e da distruggere. Se lo avesse potuto, il lento processo di revisione degli errori sociali sarebbe da millenni in atto. Ma divinò che il suo pensiero di dolore e di amore, di odio e di orgoglio, sarebbe tornato in altri uomini, allargandosi fino a divenire forza e storia.

Cittadini di Efeso, la mia difesa è terminata. Voi non avete che due alternative: l'assoluzione per totale infermità di mente, o la vendetta. Ma un condanna che nasconda il nome del primo eroe dell`umanità sarebbe stupida, oltre che ingiusta. Sarete grandi se sarete umili, 0 giudici: se sentirete che non il nome di Erostrato, ma il vostro nome la storia dissiperà nell'oblio.

 

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