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Avvocato d’ufficio. Onorari maturati per il recupero del proprio credito: no alla decurtazione di un terzo.

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"In tema di patrocinio a spese dello Stato, al difensore di ufficio dell'imputato irreperibile non è applicabile la riduzione di un terzo, ex art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, dei compensi professionali relativi alle procedure di recupero del proprio credito, in quanto tale norma è riferibile ai soli compensi maturati dal difensore per le prestazioni rese in favore della parte ammessa al beneficio del patrocinio, ovvero della parte difesa d'ufficio, ma successivamente resasi irreperibile, non potendosi estendere la relativa riduzione alle diverse spese sostenute contro l'assistito per dimostrare l'impossibilità di conseguire il compenso dovuto".

E' questo il principio di massima enunciato dalla seconda sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 3606/2024 a seguito del ricorso proposto da un legale cui era stato liquidato il compenso professionale maturato per l'assistenza in giudizio, come difensore d'ufficio, di un cittadino extracomunitario. 

Come tutti sanno, gli articoli 116 e 117 del Testo Unico Spese di Giustizia, introducono la possibilità, per il difensore d'ufficio, di ottenere la liquidazione degli onorari e delle spese a lui spettanti nella misura e con le modalità previste dalla disciplina per il patrocinio a spese dello Stato, a condizione, tuttavia, che lo stesso dimostri di aver esperito inutilmente la procedura per il recupero dei crediti professionali.

Nel caso esaminato nell'ordinanza, il tribunale aveva ritenuto che la decurtazione di un terzo prevista dall'art. 106 bis del DPR n. 115/2202 trovasse applicazione anche ai fini del calcolo dei compensi maturati per l'espletamento delle indispensabili azioni di recupero. 

Secondo la Suprema Corte, la regola contenuta nell'articolo 106 bis del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2202,  è stata, invece, scritta esclusivamente per i compensi maturati per la difesa prestata in favore del beneficiario del gratuito patrocinio nel processo penale e, pertanto, il suo ambito di applicazione non può essere esteso anche alla diversa attività professionale che il difensore abbia dovuto esperire per potersi avvalere della liquidazione del compenso ex art. 116 citato.

A sostegno d tale interpretazione, secondo il collegio, la circostanza che si tratti, in questo caso, di attività difensiva che non si esplica nel processo penale e che, soprattutto, è rivolta non già a vantaggio dell'assistito, ma contro questi, al fine di rendere manifesto come sia maturato il presupposto dell'impossibilità di recuperare il compenso nei confronti del cliente.

 

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