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Avvocati: quando la minaccia di azioni integra un comportamento deontologicamente scorretto

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La minaccia di azioni nei confronti della controparte tra esigenze di difesa e rispetto della libertà di determinazione della controparte

L'avvocato nel corso dell'esercizio della sua professione, agendo al fine di soddisfare le esigenze di difesa del suo assistito, può rivolgere intimazioni ad adempiere alle controparti, anche sotto comminatoria di azioni e/o iniziative giudiziarie.

Ma qual è il limite, oltrepassato il quale, tali intimazioni si trasformano in un comportamento deontologicamente scorretto?

L'art. 65 del codice deontologico forense [1] detta una disciplina finalizzata a contemperare «le esigenze di difesa dell'assistito con il rispetto della libertà di determinazione della controparte»(CNF, n. 171/2013). In buona sostanza il diritto/dovere di difesa non può essere illimitato e il suo esercizio deve rispettare:

  • i principi di una corretta educazione;
  • il principio di proporzionalità, secondo cui la reazione a un comportamento illecito deve essere, quanto ai mezzi e alle conseguenze, proporzionata all'offesa;
  • il principio di non vessazione, secondo cui le intimazioni non devono sottoporre la controparte a imposizioni materiali o morali che non hanno nessun collegamento funzionale con il soddisfacimento del diritto vantato.

Non devono, infatti, essere minacciate azioni o iniziative sproporzionate, che non siano funzionali all'azione il cui adempimento viene richiesto, o che rappresentino per la controparte un rilevante pregiudizio anche di ordine extragiudiziario (CNF, n. 171/2013). 

La minaccia di azioni nei confronti della controparte nella prassi

È stato ritenuto che:

  • «L'art. 65 codice deontologico forense [...] ha come ratio quella di contemperare le esigenze di difesa dell'assistito con il necessario rispetto dell'altrui libertà di determinazione. Infatti, sebbene possa il difensore intimare alla controparte di adempiere sotto comminatoria di sanzioni, istanze o denunce, tale condotta non può assumere il carattere di minaccia di azioni o iniziative sproporzionate e vessatorie, specie se esclusivamente volte ad intimidire la controparte prefigurandole, in estremo dettaglio, conseguenze nefaste, tanto più se giuridicamente infondate o improbabili» (CNF, n. 221/2017, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=37087);
  • se è vero che l'avvocato, nell'esercizio della sua funzione, deve tener conto delle esigenze di difesa del suo assistito, è altrettanto vero che il ruolo di questo professionista non può ridursi al ruolo di mero nuncius del cliente. L'avvocato, infatti, deve filtrare le richieste di quest'ultimo e allinearle -ove divergenti- ai canoni imposti dal corretto agire professionale, tra cui quello concernente la proporzionalità tra il comportamento illecito posto in essere dalla controparte e l'intimazione di una qualsiasi azione o iniziativa nei confronti quest'ultima. La violazione di tale canone trasformerà la prospettazione di avvio di azioni giudiziarie da lecita in minaccia, con conseguente sanzionabilità, dal punto di vista disciplinare, dell'avvocato.

    In punto, si fa rilevare che è stato sottoposto a procedimento disciplinare il professionista che ha invitato «il collega di controparte a transigere sul proprio compenso attraverso la riduzione delle sue pretese economiche azionate in via monitoria, giacché altrimenti avrebbe presentato non meglio precisati esposti alla Procura della Repubblica, alla Agenzia delle Entrate, alla Guardia di Finanza, al Ministero dell'Economia e all'Ordine degli Avvocati». In tali casi è evidente il superamento dei limiti posti alla base del corretto agire, con l'ovvia conseguenza della sazionabilità di un siffatto comportamento. Sanzionabilità, questa, dalla quale l'avvocato non potrà sottrarsi sostenendo, a propria discolpa, di aver agito quale "semplice ambasciatore" del cliente (CNF, n. 221/2017, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=37089);

  • «Viola i doveri di dignità e decoro il professionista che, con richieste contenenti elementi di pressione psicologica e/o di minaccia, richieda a un terzo di provvedere al pagamento di un debito altrui, peraltro a pena di denuncia all'autorità giudiziaria, trattandosi di richiesta ingiustificata, vessatoria, e comunque non scriminata dal dovere di fedeltà verso il proprio assistito» (CNF, n. 154/2017, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=36634);
  • è deontologicamente rilevante, ai sensi dell'art. 65 in questione, il comportamento dell'avvocato che chiede alla controparte il pagamento della somma di entità modesta accertata dal Giudice di Pace, minacciando, in caso di inadempimento, la presentazione di istanza di fallimento e prospettando, tra l'altro, conseguenze gravi come il discredito sociale derivante dalla dichiarazione di fallimento e la vendita forzata dell'unità immobiliare abitativa (CNF, n. 35/2016, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=34318).


Note

Art. 65 Codice deontologico forense: «1. L'avvocato può intimare alla controparte particolari adempimenti sotto comminatoria di azioni, istanze fallimentari, denunce, querele o altre iniziative, informandola delle relative conseguenze, ma non deve minacciare azioni o iniziative sproporzionate o vessatorie. 2. L'avvocato che, prima di assumere iniziative, ritenga di invitare la controparte ad un colloquio nel proprio studio, deve precisarle che può essere accompagnata da un legale di fiducia. 3. L'avvocato può addebitare alla controparte competenze e spese per l'attività prestata in sede stragiudiziale, purché la richiesta di pagamento sia fatta a favore del proprio cliente. 4. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura».  

 

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