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Con la sentenza n. 653 dello scorso 21 gennaio, il Consiglio di Stato – nel dichiarare l'illegittimità di una norma di un regolamento urbanistico che obbligava gli avvocati iscritti agli elenchi dei difensori di ufficio e i difensori abilitati al gratuito patrocinio a sostenere a proprie spese l'onere dell'esecuzione delle opere necessarie il superamento delle barriere architettoniche - ha precisato che l'avvocato non è obbligato a disporre di uno studio, sicché il relativo incarico professionale si può sempre svolgere con modalità che prescindono dalle barriere architettoniche.
Si è difatti rilevato che "né la legge professionale né il codice deontologico forense obbligano l'avvocato, per esercitare la sua professione, ad avere la disponibilità di un ufficio a ciò dedicato. Difatti, l'art. 7 della legge n. 247/2017 prevede solo che egli abbia un "domicilio", ovvero un recapito ove essere reperibile e ricevere gli atti, ma non vieta che esso, al limite, coincida con la propria abitazione, sicché l'apertura di uno studio come comunemente inteso rientra nella libera scelta del professionista.".
Nel caso sottoposto all'attenzione del Consiglio di Stato, un Comune emanava una delibera consiliare con cui, nell'apportare delle modifiche al proprio regolamento urbanistico edilizio, obbligava gli avvocati iscritti agli elenchi dei difensori di ufficio e i difensori abilitati al gratuito patrocinio a sostenere a proprie spese l'onere dell'esecuzione delle opere necessarie il superamento delle barriere architettoniche, al fine di garantire l'accesso e la visitabilità dei propri studi.
Ricorrendo al Tar, l'Ordine degli avvocati locale proponeva impugnazione contro le delibere suddette.
Il Collegio respingeva il ricorso, osservando che l'obbligo di cui sopra riguardava solo due particolari categorie di avvocati (i difensori di ufficio e gli abilitati al gratuito patrocinio) che – per una loro scelta, avendo richiesto l'iscrizione nel relativo elenco – sono legati a una funzione o convenzione in base alla quale ricevono un pubblico indistinto; per queste due categorie, quindi, la norma che impone loro le opere per il superamento delle barriere non appare né illogica né irragionevole, in quanto realizzerebbe una sorta di equilibrio fra il vantaggio della corresponsione del compenso da parte dello Stato e l'onere relativo.
Ricorrendo al Consiglio di Stato, l'Ordine degli avvocati locale criticava la sentenza impugnata per avere qualificato come luogo aperto al pubblico lo studio dell'avvocato, sottolineando che – sebbene la funzione dell'avvocato difensore è di tipo pubblicistico – tuttavia l'avvocato non è obbligato ad avere uno studio, ma soltanto un domicilio professionale, che può coincidere con l'abitazione e non è aperto indiscriminatamente a terze persone; la richiamata funzione pubblicistica, inoltre, non nega al legale di recarsi personalmente dal cliente.
Il Consiglio di Stato condivide la censura del COA.
Il Collegio evidenzia che né la legge professionale né il codice deontologico forense obbligano l'avvocato, per esercitare la sua professione, ad avere la disponibilità di un ufficio a ciò dedicato. Difatti, l'art. 7 della legge n. 247/2017 prevede solo che egli abbia un "domicilio", ovvero un recapito ove essere reperibile e ricevere gli atti, ma non vieta che esso, al limite, coincida con la propria abitazione, sicché l'apertura di uno studio come comunemente inteso rientra nella libera scelta del professionista.
Il collegio amministrativista specifica, inoltre, che legge n. 247/2012 citata e il codice deontologico non vietano in generale che il difensore, per svolgere il proprio mandato, possa recarsi presso la parte, in un luogo che essa ritiene adeguato alle proprie esigenze, anche di salute, né vietano certo che egli si rechi al domicilio di un disabile il quale se ne possa allontanare solo con difficoltà.
Ne deriva che, se che l'avvocato non è obbligato a disporre di uno studio, allora il relativo incarico professionale si può sempre svolgere con modalità che prescindono dalle barriere architettoniche.
Alla luce di tanto, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso con compensazione delle spese di giudizio.
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Il mio nome è Rosalia Ruggieri, sono una persona sensibile e generosa, sempre pronta ad aiutare chi ne ha bisogno: entro subito in empatia con gli altri, per indole sono portata più ad ascoltare che a parlare, riservatezza e discrezione sono aspetti caratteristici del mio carattere. Molto caparbia e determinata, miro alla perfezione in tutto quello che faccio.
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Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.