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Con l'ordinanza n. 10204 depositata lo scorso 11 aprile, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha revocato un provvedimento di assegnazione della casa coniugale in favore di un genitore convivente con il figlio maggiorenne, ritenendo che il giudice del divorzio avesse deciso extra petita, posto che nel relativo giudizio non era stata reiterata alcuna istanza di assegnazione.
Si è quindi precisato che la domanda di assegnazione della casa familiare in caso di figli maggiorenni, deve essere riproposta in sede di giudizio di divorzio, anche dalla parte che risulta già assegnataria dell'immobile in virtù di statuizioni assunte in sede separativa, non potendo il giudice, con i suddetti presupposti, stabilire officiosamente, se non incorrendo in un vizio di extrapetizione.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere pronunciava il divorzio tra una coppia di coniugi, assegnando la casa coniugale alla moglie perché vi conviveva con il figlio, maggiorenne ma non autosufficiente.
La Corte d'Appello di Napoli, investita dall'appello proposto dal marito, revocava l'assegnazione della casa familiare alla donna in quanto – sebbene nel corso del giudizio fosse emerso che figlio avesse ripreso a convivere con la madre – il provvedimento impugnato doveva ritenersi assunto extra petita.
Il Collegio rilevava, infatti, che nel giudizio di primo grado non era stata formulata dall'ex moglie alcuna specifica istanza di assegnazione della casa familiare, sebbene con una precedente ordinanza fosse stata disposta la revoca dell'assegnazione a causa della coabitazione del figlio con l'altro fratello, per un periodo circoscritto.
Ricorrendo in Cassazione, la donna censurava la decisione della Corte di merito la quale, a suo dire, aveva erroneamente rilevato il vizio di extra petizione in relazione alla domanda di assegnazione della casa familiare.
In particolare, la ricorrente affermava che l'assegnazione era stata disposta nel giudizio di separazione sicché la stessa risultava già beneficiaria del diritto nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio e, pertanto, non aveva l'obbligo di reiterare la richiesta.
La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.
I Supremi Giudici rilevano come la sentenza impugnata abbia dedotto il vizio di extrapetizione del giudice di primo grado in ragione del fatto che lo stesso aveva disposto l'assegnazione della casa coniugale sebbene, a fronte di una precedente ordinanza di revoca dell'assegnazione, l'ex moglie non avesse reiterato la domanda di assegnazione nel corso del giudizio di prime cure.
Secondo gli Ermellini la valutazione della correttezza del rilievo dell'extrapetizione, richiede il preventivo esame sulla funzione del provvedimento di assegnazione della casa familiare nel caso di convivenza con figli maggiorenni.
Siffatto provvedimento va disposto in favore del coniuge cui siano affidati e collocati i figli maggiorenni non autosufficienti, sempre che sussista la prosecuzione della coabitazione del genitore assegnatario e del figlio.
Le pertinenti disposizioni normative in caso di divorzio (art. 6 comma 6 legge 898/1970), tuttavia, non contengono alcuna indicazione utile in relazione alla necessità che la statuizione sull'assegnazione della casa familiare sia fondata sulla formulazione di una domanda, in ossequio al principio dispositivo, o se possa essere adottata anche officiosamente in funzione del rilievo pubblicistico dei diritti in gioco.
Mentre nel caso di figli minorenni il diritto all'assegnazione della casa coniugale è indisponibile e irrinunciabile dal genitore avente diritto (in quanto costituisce una componente essenziale per il perseguimento dell'interesse morale e materiale dei minori con conseguente obbligo per il giudice di sollevare officiosamente la questione relativa al provvedimento da adottare), con il raggiungimento della maggiore età viene meno l'esigenza di preservare la continuità dell'habitat domestico in funzione dell'equilibrato sviluppo psico-fisico del figlio.
Analogamente, nel caso di mantenimento dei figli maggiorenni, il relativo obbligo non è più un effetto automatico conseguente al vincolo di genitorialità, ma risulta condizionato all'accertamento della peculiare condizione di non indipendenza economica dei figli; in tal caso, il pagamento dell'assegno è condizionato all'esplicita domanda del genitore o del figlio.
Così come nel caso di mantenimento, anche per l'assegnazione della casa coniugale ad un maggiorenne, i provvedimenti giudiziali si basano su presupposti fattuali parzialmente diversi da quelli relativi ai figli minori, in quanto sia l'obbligo di contribuzione che quello relativo al sacrificio nel godimento della casa familiare sono condizionati dall'accertamento della situazione di non indipendenza economica del figlio maggiorenne, mentre viene meno il nesso eziologico diretto con i provvedimenti relativi all'esercizio della responsabilità genitoriale.
Siffatta analogia tra mantenimento e assegnazione porta gli Ermellini a ritenere che, così come per il mantenimento, anche nel caso di assegnazione della casa coniugale non può prescindersi dalla formulazione della relativa domanda su istanza della parte interessata.
Pertanto, è necessario, così come per la richiesta di mantenimento, che anche la domanda di assegnazione della casa familiare venga proposta in sede di giudizio di divorzio anche da parte di chi risulti già assegnatario della stessa come da statuizioni assunte in sede separativa, non potendo il giudice provvedervi officiosamente proprio in relazione alla diversa connotazione della posizione giuridica, soprattutto in termini di autodeterminazione individuale, che caratterizza il figlio maggiorenne, ancorché non autosufficiente, rispetto al minore.
Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il motivo di ricorso con compensazione delle spese.
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