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I giudici della Corte Cassazione - Seconda Sezione Penale, con la sentenza n. 46825 del 26.09.2019, hanno stabilito che chi si spaccia per avvocato curando per conto di terzi soggetti la liquidazione di un sinistro stradale, commette reato di esercizio abusivo della professione.
Con la citata sentenza i giudici di legittimità hanno chiarito alcuni interessanti profili in ordine alla condotta che deve concretizzarsi con tipiche modalità
I Fatti
La sentenza impugnata avanti la Corte di Cassazione era stata emessa dalla Corte di Appello di Milanoche aveva confermato la decisione del GIP Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Milano confermava la decisione del Gip del locale Tribunaleche, a definizione delgiudizio abbreviato, aveva dichiarato l'imputata colpevole dei delitti di esercizio abusivo della professione di avvocato, falso e truffa aggravata ai danni di due persone rimaste danneggiate in un sinistro.
Con il primo motivo della proposta impugnazione l'imputata deduceva la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla sussistenza del reato di cui all'art. 348 cod.pen. La difesa, lamentava che la Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità nonostante l'attività svolta dall'imputata non richieda l'abilitazione professionale e possa essere esercitata da un qualsiasi delegato. Secondo la difesa l'attività svolta dall'imputata sarebbe stata legittima perché priva dei requisiti della continuatività, sistematicità ed organizzazione.
Con il secondo motivo la ricorrente deduceva la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione alla fattispecie di truffa, lamentando che la Corte d'Appello nel confermare la responsabilità della ricorrente per il delitto di truffa ha reso una motivazione censurabile in ordine alla non necessaria identità tra la persona vittima della truffa ed il soggetto terzo che ha il potere dispositivo (Società Assicuratrice) .
Motivazione
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dai giudici della Seconda Sezione Penale.Per quel che interessa, in questa sede, ci limiteremo ad analizzare le motivazioni con le quali è stato ritenuto dai giudici di legittimità infondato il primo motivo, rinviando per il resto a consultare il testo integrale della sentenza, pubblicata in calce.
La difesa dubita della corretta applicazione con il primo motivo si è lamentata della non corretta applicazione nel caso di specie specie dei principi fissati dalla sentenza delle Sez. Unite n. 11545 del 15/12/2011, Cani, Rv. 251819, secondo cui integra il reato di esercizio abusivo di una professione ex art. 348 cod. pen. il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011 - dep. 2012, Cani, Rv. 251819;Sez. 6, n. 23843 del 15/05/2013, Mappa, Rv. 255673; n. 33464 del 10/05/2018, Melis, Rv. 273788).
La Corte territoriale ha richiamato correttamente, al fine di argomentare la propria decisione di conferma della sentenza di primo grado, ad integrazione del precetto penale, la norma speciale contenuta nella L. 31/12/2012 n. 247 che disciplina l'ordinamento della professione forense che all'art. 2, comma 6, espressamente prevede la competenza degli avvocati in relazione all'attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, " se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato".
La corte territoriale ha poi evidenziato come nel caso di specie la condotta posta in essere dall'imputata presentasse i requisiti richiesti dalla norma edalla giurisprudenza di legittimità. I giudici di legittimità hanno chiarito inoltre con riferimento al requisito dell'organizzazione che tale requisito unitamente a quello della continuità e della sistematicità, non necessariamente debba identificarsi con la disponibilità di uno studio " legale" ovvero di un apparato strumentale che la sostenga.
Per queste argomentazioni e per le altre indicate in motivazione è stata dichiarata l' inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali
Si allega sentenza
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L´Avv. Giovanni Di Martino, coordinatore dello Studio insieme all´Avv. Pietro Gurrieri, nel 1986 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Catania. Da oltre 25 anni esercita la professione di avvocato con studio in Niscemi (CL) ed è iscritto all´Albo degli avvocati del Consiglio dell´Ordine di Gela oltre che in quello speciale dei Cassazionisti e in quello delle altre Giurisdizioni Superiori.
Ha ricoperto la carica di amministratore del Comune di Niscemi (CL) e quella di Vice Presidente Nazionale della Associazione "Avviso Pubblico Enti Locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie" (2007-2013),
Nel corso della sua carriera professionale ha assunto il patrocinio in favore di numerosi soggetti privati ed enti pubblici sia in sede giudiziaria ed extragiudiziaria, in diverse materie di diritto civile.