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Con la sentenza n. 36832 dello scorso 2 settembre, la VI sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di maltrattamenti inflitto ad un uomo che aveva aggredito, verbalmente e fisicamente, la figlia quindicenne, colpevole di aderire ad una cultura troppo moderna, così escludendo che gli atteggiamenti del padre potessero costituire semplici reazioni tipiche dello ius corrigendi.
Si è difatti specificato che i comportamenti violenti, sia pure se dettati da "intento" educatore, integrano il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di correzione, posto che i comportamenti maltrattanti non possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente è portatore.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di cui all'art.572 e 582 c.p. ai danni della figlia quindicenne, per averla maltrattata con aggressioni verbali e fisiche – colpendola con pugni e con la cinghia – così provocandole, in un'occasione, lesioni personali con una prognosi di guarigione di sette giorni..
Condannato in primo grado, l'uomo veniva assolto dalla Corte di appello di Torino, sul presupposto che il fatto non sussistesse: il collegio giudicante, infatti, escludeva la natura vessatoria dei comportamenti tenuti dall'imputato, riconducendoli tutti a semplici episodi che si collocavano nel difficile rapporto tra padre e figlia, fatto di incomprensioni e incomunicabilità.
La Corte di appello giustificava tali comportamenti alla luce dello ius corrigendi: secondo la ricostruzione effettuata in sentenza, il padre – nell'esprimere il suo disappunto e disagio per una figlia che aveva sposato una cultura troppo moderna, contraddistinta da eccessive libertà – non aveva agito per "umiliare" o "annientare" la figlia, in quanto gli episodi contestati erano tutti avvenuti inmomenti di particolare tensione e concitazione causati dalle continue disubbidienze della ragazza che, in spregio delle prescrizioni autoritarie del padre, portava in casa vestiti e trucchi rubati, marinava la scuola, si faceva sorprendere a casa con un amico.
Secondo la Corte territoriale, inoltre, non poteva escludersi che la ragazza avesse ingigantito i fatti, anche alla luce della circostanza per cui la stessa, dopo essersi allontanata, aveva deciso di far rientro nella casa paterna e si scusava pubblicamente con il padre, manifestandogli il suo affetto; tutti questi elementi venivano valutati come indici di segno contrario all'ipotesi accusatoria, a dimostrazione del fatto il rapporto familiare non fosse irrimediabilmente incrinato e che la ragazza non avesse subito abituali maltrattamenti.
Ricorrendo in Cassazione, il Procuratore presso la Corte di Appello di Torino deduceva erronea applicazione della legge penale, con riguardo alla nozione di maltrattamenti.
Più nel dettaglio, si censurava la decisione impugnata per aver valorizzato l'animus corrigendi dell'imputato, senza considerare gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, che – di contro – esclude categoricamente la possibilità di giustificare, alla luce dell'animus corrigendi, le condotte del genitore caratterizzate dall'uso sistematico della violenza nei confronti del figlio.
La Cassazione condivide le argomentazioni della pubblica accusa.
La Corte ribadisce la validità del principio secondo cui non può ritenersi lecito l'uso sistematico da parte del genitore di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del figlio minore, anche se sorretto da "animus corrigendi": i comportamenti maltrattanti, infatti, non possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente è portatore.
Ne deriva che i comportamenti violenti, sia pure se dettati da "intento" educatore, integrano il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di correzione.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha eluso siffatto principio: la Corte di appello, dopo aver immotivatamente "ridimensionato" i comportamenti contestati – ritenendo apoditticamente che la vittima avesse ingigantito la vicenda – ha ritenuto sufficiente inquadrare i fatti sotto una forma di eccesso "educativo" per escluderne la punibilità.
In conclusione la Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.
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Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.