Se questo sito ti piace, puoi dircelo così

Dimensione carattere: +

Accertamenti bancari sui conti correnti di liberi professionisti

Imagoeconomica_1484995

Riferimenti normativi: Art.32, comma 2, D.P.R.n.600/73

Focus: L'attività di impresa e l'attività libero professionale sono equiparabili? L'Amministrazione finanziaria, a seguito di verifiche di conti correnti bancari e dei presunti ricavi scaturenti dai prelevamenti eseguiti sui detti conti, emette accertamenti di imposta, equiparando l'attività di impresa e l'attività libero professionale.Ma secondo la sentenza n.19565/2018 della Corte di Cassazione le citate attività non sono equiparabili.

Principi generali: La normativa generale sembra equiparare i due settori delle libere professioni e del mondo imprenditoriale: il trattato UE, all'art.50, inserisce le libere professioni intellettuali tra i servizi, ponendo sullo stesso piano le libere professioni e le attività di carattere imprenditoriale. Il codice del consumo, all'art.33, disciplinando le clausole vessatorie, accomuna le due tipologie di attività, e l'art.34 del trattato di Maastricht considera congiuntamente le attività professionali e imprenditoriali. I due settori, però, si distinguono sul piano fiscale tenuto conto che le attività professionali si contraddistinguono per il patrimonio intellettivo, frutto di competenze ed esperienze professionali, e per le relazioni di fiducia con la clientela.

Ciò premesso, gli uffici finanziari, a seguito di verifiche di conti correnti bancari, possono invitare i contribuenti, ai sensi dell'art.32, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, a fornire dati e notizie in merito alle operazioni su conti correnti bancari. Lo stesso articolo, al comma 7, prevede, inoltre, che l'Amministrazione può richiedere, alle banche e alle società, previa autorizzazione del direttore dell'Agenzia delle entrate, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi. Dal quadro normativo del citato art.32 emerge che i dati e gli elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati a norma del comma 7 e dell'art.33 D.P.R. n.600/73, o acquisiti ai sensi dell'art.18, comma 3, lett. b) D.Lgs. n.504/1995, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt.38,39,40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

Alle stesse condizioni, altresì, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a mille euro giornalieri, e, comunque, a cinquemila euro mensili, si presumono, come ricavi non giustificati, a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili (come da modifiche apportate all'art.32 dal D.L. n.193/2016, convertito in L. n.225/2016). Tale presunzione, però, non opera più per i lavoratori autonomi, a prescindere dal relativo importo, in seguito all'orientamento della Corte Costituzionale che, nel 2014, ha dichiarato l'incostituzionalità della presunzione in capo a tali soggetti. In materia di versamenti, invece, non sono state apportate modifiche, e, pertanto, qualora non giustificati, opera la presunzione in base alla quale (a prescindere dall'importo) essi costituiscono reddito sia per le imprese sia per i lavoratori autonomi. E' sul contribuente, dunque, che, in mancanza di espresso divieto normativo, incombe l'onere probatorio di dimostrare analiticamente ogni versamento bancario, per cui se lo stesso non fornisce giustificazioni concrete i versamenti potranno essere recuperati a reddito dall'ufficio finanziario.

Il caso: Nel caso di specie il contribuente, esercente la professione di medico, titolare di due partite IVA, ha impugnato un avviso di accertamento, anno 2003, con cui l'ufficio aveva rettificato la dichiarazione dei redditi, in base alle risultanze delle movimentazioni bancarie, rideterminando il reddito e recuperando a tassazione le imposte non versate. In primo e secondo grado il ricorso è stato accolto parzialmente e dalla sentenza impugnata, dinanzi alla Suprema Corte, da parte dell'Agenzia delle Entrate si evince che il giudice di appello, confermando sul punto la valutazione del giudice di prime cure, ha ritenuto esenti dall'I.V.A. le operazioni contestate, ai sensi dell'art. 10, n. 18, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e giustificati i prelievi effettuati dal contribuente. Ha, invece, ritenuto non superata la presunzione che riconduce a reddito i versamenti effettuati sul conto corrente.

L'Amministrazione finanziaria ha impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione per violazione, tra i motivi, anche dell'art. 32 del D.P.R. n. 600/73, considerato che detta sentenza ha escluso l'applicabilità al contribuente della presunzione che ricollega maggiori redditi anche ai prelievi bancari, in quanto prestatore di servizi e non imprenditore.Tale motivo, però, è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte che ha richiamato la sentenza del la Corte costituzionale n.228 del 24 settembre 2014, la quale, rispetto alla formulazione della norma vigente al momento della decisione di secondo grado, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione dell'art. 32, primo comma n. 2, D.P.R. n. 600/73, limitatamente alle parole "o compensi"In buona sostanza, secondo tale norma, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie << sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni >>. La Corte Costituzionale, invece, con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi, ha ritenuto che sia venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività, in quanto << lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito>>.

Pertanto, non essendo più proponibile l'equiparazione logica tra attività d'impresa e attività professionale operata, al fine della presunzione dei prelevamenti eseguiti sui conti correnti bancari, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità anteriori (Cass. 9 agosto 2016, n. 16697; Cass. 11 novembre 2015, n. 23041) grava sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi, non potendosi fare ricorso della presunzione invocata.

 

Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.

15 ottobre, l'affaire Dreyfus: quando la giustizia...
PRG non ancora approvato: non possono essere reali...

Forse potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca nel sito