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12 febbraio 1980, alla Sapienza le BR massacrano Vittorio Bachelet, vicepresidente Csm

12 febbraio 1980, alla Sapienza le BR massacrano Vittorio Bachelet, vicepresidente Csm


Lui è Vittorio, un professore, il cui sorriso parla più della bellezza della sua anima che delle sue emozioni. Una famiglia numerosa, quando nasce sono in otto a fargli festa oltre papà e mamma, è il beniamino di casa Bachelet. Gli insegnano l'importanza dello studio, lui non si fa pregare, è un liceale quando Hitler scatena la guerra. Sono gli anni del sonno della ragione, Vittorio sceglie Giurisprudenza e il diritto. Studiare, pensa, non basta, bisogna preparare il futuro dopo le macerie. Ha appena vent'anni ed è condirettore di Ricerca, il giornale della Fuci, la sua associazione. Un anno dopo, la laurea. L'Italia pensa alla ricostruzione, Vittorio è assistente di diritto amministrativo alla Sapienza, poi redattore capo della rivista di studi politici Civitas. Si Innamora di Maria Teresa, si sposano, nasce Maria Grazia, poi Giovanni. Vittorio è professore di diritto pubblico prima a Pavia, quindi a Trieste ed infine a Roma, ancora alla Sapienza. Scrive libri su libri, la Costituzione è la sua fissa, ma non abbandona la sua Azione Cattolica. Giovanni XXIII, il papa buono, lo nomina vicepresidente, il suo successore, Gian Battista Montini, lo conosce dai tempi della Fuci, ha un piano in mente. Conclude il Concilio, lo chiama, gli chiede di impegnarsi come presidente, lui dice di sì. Un altro ex fucino, Aldo Moro, non lo lascia in pace. Vittorio, al Consiglio Superiore della Magistratura c'è bisogno di uno come te, non puoi sottrarti. Sì, ma io sono un professore, non togliermi i miei studenti. Vittorio è il vicepresidente del Csm, nessun deputato vota contro. È un'alta carica dello Stato, ma ogni giorno tiene la sua lezione alla Sapienza, si intrattiene con i suoi studenti, che lo amano. È il 12 febbraio 1980, Vittorio è appena uscito dalla sua aula, con lui Rosy Bindi, la sua assistente. Grida, una irruzione nell'ateneo, panico. Annalaura Braghetti e Bruno Seghetti sono delle Brigate Rosse. Lo puntano, gli sono addosso, gli sparano sette volte. Vittorio è a terra, continuano a sparare. Vittorio, un uomo giusto, muore così. Due giorni dopo, a San Bellarmino, Giovanni legge la sua preghiera. Un inno alla fede e all'amore, la più grande eredità che un padre possa trasmettere ad un figlio:
«Preghiamo per i nostri governanti. Preghiamo per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore. E preghiamo anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri.»
Vittorio Bachelet, io che scrivo avevo 16 anni quando Tu lasciasti questo mondo. Ho letto quello che era accaduto, e ho pianto. Che Tu possa riposare in pace.
Piero Gurrieri - Avvocato, Direttore di Reti di Giustizia.


 Un uomo giusto e sensibile ai bisogni degli ultimi. Un giurista raffinato, un cultore del diritto pubblico ed un sostenitore dell'autonomia e dell'Indipendenza della magistratura in anni difficili. Un politico attento, dalla coscienza retta e non aduso ai compromessi. Un amico personale di Aldo Moro, della stessa pasta dello statista democristiano.

Questo è stato Vittorio Bachelet, Insigne giurista, professore universitario di diritto pubblico e costituzionale, eletto il 21 dicembre 1976 vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura e, meno di 4 anni più tardi, precisamente il 12 febbraio 1980, ammazzato come un cane a colpi di pistola all'Università di Roma La Sapienza davanti ad una sua assistente, Rosy Bindi, e a numerosi studenti attoniti.

Sì, perché il professore, come tutti lo chiamavano, alle elezioni ci teneva, ed anche a continuare a frequentare l'università nonostante il suo alto incarico nello organo di autogoverno dei magistrati. Una passione, quella dell'insegnamento, forse la sua più grande insieme alla militanza nella Azione Cattolica italiana, che gli costò la vita. Il 12 febbraio 1980, al termine di una lezione, mentre conversava con la sua assistente Rosy Bindi, venne assassinato da un nucleo armato delle Brigate Rosse, sul mezzanino della scalinata che portava alle aule professori della facoltà di Scienze politiche della Sapienza, colpito con sette proiettili calibro 32.

Due giorni dopo si celebrarono i funerali a Roma. Uno dei due figli, Giovanni, all'epoca venticinquenne, durante la messa, disse:

«Preghiamo per i nostri governanti. Preghiamo per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore.

Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri.»

 

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