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Mantenimento corrisposto in misura inferiore? Nessun reato se i coniugi avevano pattuito la riduzione

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Con la recente sentenza n. 5236 dello scorso 7 febbraio, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha assolto con formula piena un uomo che non aveva corrisposto integralmente l'assegno di mantenimento disposto in sede di divorzio, limitandosi a versare l'importo, ridotto, che aveva concordemente pattuito con l'ex moglie dopo la sentenza di divorzio, senza che quell'accordo fosse stato trasfuso in un nuovo provvedimento giudiziale.

Si è difatti specificato che non è configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio di cui all'art. 570 bis c.p., qualora l'agente si sia attenuto agli impegni assunti con l'ex coniuge per mezzo di un accordo transattivo, non omologato dall'autorità giudiziaria, modificativo delle statuizioni sui rapporti patrimoniali contenute in un precedente provvedimento giudiziario.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato per il reato di cui all'art. 570 bis c.p., per essersi sottratto agli obblighi di assistenza, facendo mancare i mezzi di sussistenza ai tre figli, non versando integralmente l'importo di Euro 1,111,77 all'ex coniuge, quale assegno di mantenimento stabilito con sentenza di divorzio del Tribunale. 

Per tali fatti, sia il Tribunale dell'Aquila che la Corte di Appello dell'Aquila avevano condannato l'uomo alla pena di legge, ritenendo irrilevante la circostanza che gli ex coniugi avessero raggiunto una intesa per ridurre l'importo dell'assegno di mantenimento fissato dall'autorità giudiziaria, in quanto l'accordo non era stato recepito in alcun provvedimento giudiziale.

L'uomo proponeva ricorso per Cassazione deducendo la violazione di legge penale e mancanza di motivazione, per non aver la Corte di appello tenuto conto che nel marzo del 2012 tra gli ex coniugi era stata sottoscritta una intesa con la quale l'assegno di mantenimento fissato dal giudice civile era stato consensualmente ridotto a 800 Euro, in ragione delle precarie condizioni lavorative del prevenuto. Ne derivava che l'uomo aveva adempiuto a quell'accordo, pur non essendo stato lo stesso trasfuso in un nuovo provvedimento giudiziale, con la consapevolezza di non avere così violato alcun obbligo di legge.

La Cassazione condivide le tesi difensive dell'imputato.

In punto di diritto gli Ermellini rilevano come – sebbene le intese patrimoniali eventualmente raggiunte dalle parti in sede di separazione non incidono sulla determinazione dell'assegno di divorzio – è del tutto corretto ritenere che le medesime intese economiche raggiunte dalle parti dopo la presentazione della domanda di divorzio siano lecite, poiché gli accordi si riferiscono ad un divorzio che le parti hanno già deciso di conseguire ed hanno per oggetto solo una modifica delle statuizioni patrimoniali contenute in quella decisione.

Siffatte intese non producono effetti vincolanti tra le parti unicamente nel caso in cui contengano clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell'assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all'ordine pubblico: in mancanza di tali circostanze, invece, l'accordo transattivo può produrre effetti obbligatori per le parti, anche prima e indipendentemente dal fatto che il suo contenuto sia stato recepito in un provvedimento dell'autorità giudiziaria, trattandosi di un accordo con natura negoziale che produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l'omologazione. 

Ne deriva che, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non è configurabile il reato qualora gli ex coniugi si siano attenuti ad accordi transattivi conclusi in sede stragiudiziale, pur quando questi non siano trasfusi nella sentenza di divorzio che nulla abbia statuito in ordine alle obbligazioni patrimoniali.

Conspecifico riferimento al caso di specie l'imputato, nei mesi in contestazione, aveva effettuato il versamento di 770 Euro mensili, un importo sostanzialmente pari a quello di 800 Euro che le parti avevano concordato, con atto stragiudiziale, a titolo di assegno di mantenimento divorzile.

Alla luce dell'indicato criterio interpretativo – secondo cui non è configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, qualora l'agente si sia attenuto agli impegni assunti con l'ex coniuge per mezzo di un accordo transattivo, non omologato dall'autorità giudiziaria, modificativo delle statuizioni sui rapporti patrimoniali contenute in un precedente provvedimento giudiziario – laddove fosse risultato versato integralmente l'assegno di mantenimento nella misura concordata dalle parti, sarebbe venuto meno uno degli elementi costitutivi oggettivi del reato; essendo stato versato, invece, un importo quasi pari a quello stabilito negozialmente, è assente il dolo richiesto dalla norma incriminatrice.

In virtù di tanto, la Cassazione accoglie il ricorso dell'uomo e annulla senza rinvio la sentenza di condanna perché il fatto non costituisce reato. 

 

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