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Veicoli-rifiuti su strada, il Comune deve provvedere alla rimozione e ai relativi costi

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La rimozione dei veicoli abbandonati in strada spetta all'ente pproprietario o concessionario della pubblica via. È quanto ha statuito la Corte di cassazione, con sentenza n. 10354 del 12 aprile 2019. Secondo i Giudici di legittimità, questo compito, ossia la rimozione su enunciata, comporta che «al medesimo ente spetti anche sostenere i relativi oneri economici (salvo, ovviamente, rivalsa nei confronti dei proprietari o responsabili dell'abbandono dei veicoli)».

Vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame della Suprema Corte.

I fatti di causa.

La Corte d'appello ha accolto l'impugnazione del centro raccolta di veicoli abbandonati, rimossi dalla pubblica via, proposta contro la sentenza di primo grado, con cui è stato condannato il Comune al pagamento di € 15.000,00, a titolo di corrispettivo per la predetta custodia. Ad avviso della pubblica amministrazione, la decisione di secondo grado va riformata in quanto questa, a differenza di quella del Tribunale, ha escluso la necessità, a pena di nullità, di una specifica previsione negoziale, nonostante la natura pubblica di uno dei due contraenti, facendo derivare l'obbligo di remunerare la custodia dei veicoli su enunciati, direttamente dalla legge.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito dalla Corte di Cassazione.

La decisione della SC.

Innanzitutto appare opportuno rilevare che l'art. 14, D.Lgs. n. 285/1992 stabilisce che «gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono», tra l'altro, «alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi». 

In punto, la giurisprudenza ha affermato che tale obbligo è «comprensivo della rimozione, custodia e se del caso demolizione sia dei veicoli lasciati in sosta d'intralcio, sia di quelli abbandonati» e sia dei relativi oneri e spese da sostenere, salvo rivalsa nei confronti del proprietario del veicolo (Cass. 24 giugno 2008 n. 17178). A ciò si deve aggiungere che tra i compiti della pubblica amministrazione rientra anche quello dello smaltimento delle auto che sono qualificate come rifiuto. Va subito detto che è qualificato come «rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi» (art. 183, D.lgs. 152/2006, che ha sostituito l'art. 2, comma 1 lett.a D.ls. 22/1997). In queste ipotesi, il D.M. n. 460 del 1999 (recante il regolamento avente ad oggetto la disciplina dei casi e delle procedure di conferimento ai centri di raccolta dei veicoli a motore o rimorchi rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e di quelli acquisiti ai sensi degli artt. 927-929 e 923 c.c.) chiaramente stabilisce che:

  • se il comune non ritiene conveniente disporne la vendita, provvede a sue spese alla rimozione e custodia di tali veicoli;
  • ove, invece, le auto o i rimorchi sono reclamati dal proprietario, le spese di rimozione e custodia gravano su quest'ultimo.

Ne consegue che, se, al di fuori di quest'ultima ipotesi, i compiti di rimozione e custodia spettano «all'ente proprietario o concessionario della strada, non v'è dubbio, in difetto di previsione contraria, che al medesimo ente spetti anche sostenere i relativi oneri economici (salvo, ovviamente, rivalsa nei confronti dei proprietari o responsabili dell'abbandono dei veicoli). 

 Non è, dunque, il regolamento ad attribuire all'ente concessionario della strada l'onere delle spese in questione: il regolamento non fa che esplicitare quanto già ricavabile dalla norma primaria» (Sez. 1, n. 11543, 19/5/2009)».

Da quanto sopra, appare evidente che, a dispetto di quanto sostiene il Comune, la fonte dei doveri del gestore della strada pubblica nei casi come quelli in esame, è da rinvenirsi nella legge.

Questo, tuttavia, a parere dei Giudici di legittimità, non esime la pubblica amministrazione dalla regola formale imposta per l'attività negoziale dalla stessa svolta, ossia la forma scritta richiesta a pena di nullità. E ciò in considerazione del fatto che:

  • «il rispetto della forma scritta ad substantiam, prevista a pena di nullità deve essere comunque assicurato»;
  • «nel nostro ordinamento non c'è spazio per un facere della P.A. che non trovi fondamento in una fonte normativa, comunque regolante il settore»;
  • l'azione pubblica deve essere resa leggibile e conoscibile dai consociati, così come il percorso volitivo che conduce al negozio privato;
  • deve esserci certezza sia delle clausole contrattuali che del corrispettivo pattuito;
  • la manifestazione della volontà negoziale deve avvenire in forme oggettive ed estrinseche.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di cassazione, ha accolto il ricorso del Comune limitatamente alla questione della forma scritta richiesta per la convenzione con il centro di raccolta dei veicoli abbandonati su strada pubblica, e ha riformato la sentenza di secondo grado, rinviando ai Giudici d'appello in diversa composizione.


 

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