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Una neonata come le altre

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 Rovaglia si lavò energicamente le mani e si sciacquò più volte il viso. In dieci anni di carriera non aveva mai visto una cosa del genere: quella povera donna stava per scoppiargli davanti agli occhi. Era stato fortunato a non svenire, com'era capitato alla povera Bianchi. Con ogni probabilità, la giovane dottoressa sa­rebbe diventata il bersaglio preferito delle tante storielle che, inevitabilmente, avrebbero fatto il giro dell'ospedale.

L'infermiera gli aveva riferito che il risultato del secondo Ap­gar era stato buono.

Rovaglia aveva controllato la cartella clinica della paziente con estremo scrupolo, come suo solito, e aveva letto che la don­na aveva un fattore sanguigno rh negativo. Anche il marito risul­tava avere un fattore rh negativo. Inoltre, la ragazza era alla prima gravidanza e non aveva mai avuto aborti, quindi non avrebbero dovuto esserci problemi.

Nella cartella clinica c'era scritto che durante la gestazione era stato anche eseguito un test di Coombs, risultato negativo.

Il giovane medico si chiese quale fosse stata la ragione di far fare il Coombs. Probabile che si fosse trattato di un eccesso di zelo e di prudenza da parte di Marchionni, il ginecologo della ragazza, che peraltro lui conosceva abbastanza bene. Si ripro­mise di chiedere al collega le ragioni di quell'esame non appena l'avesse incrociato in reparto. 

 Subito dopo la nascita, come di prassi, aveva prelevato un campione di sangue dal calcagno della bambina e aveva disposto le analisi di routine, con attenzione particolare al gruppo sangui­gno e al fattore rh.

Più tardi sarebbe andato a controllare i risultati. Adesso era ora di dormire qualche minuto. Erano più di ventiquattro ore filate che non chiudeva occhio e, dopo quella nottata infernale, sentiva che sarebbe svenuto, se non avesse dormito almeno un po'. 

 Prima, però, doveva passare a salutare Antonella, che lo aveva chiamato per chiedergli di fare colazione con lui. Si erano dati appuntamento davanti al grande bar sul marciapiede opposto all'entrata dell'ospedale.

Aveva intenzione di prendersi un cappuccino pieno di schiu­ma e due cornetti con la crema. Per una volta avrebbe messo da parte le sue fissazioni sulla linea.

Alle otto e un quarto di mercoledì mattina, Lorenzo Rovaglia uscì dall'ospedale San Camillo, canticchiando una canzone dei Queen.

Nessuno lo aveva avvertito, perché nessuno se n'era accorto, che la piccola Stella Narducci aveva un colorito leggermente più scuro del normale.

 

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