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"Un giorno, tutto vi sarà tolto". La lettera "ai giudici e a' reggitori dei popoli" di S. Francesco

"Un giorno, tutto vi sarà tolto". La lettera "ai giudici e a' reggitori dei popoli" di S. Francesco

 Francesco d'Assisi, nato Giovanni di Pietro di Bernardone (Assisi, 1181 o 1182 – Assisi, 3 ottobre1226), è stato un religioso e poeta italiano.

Diacono e fondatore dell'ordine che da lui poi prese il nome, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Comunione anglicana. Il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana). È stato proclamato, assieme a santa Caterina da Siena, patrono principale d'Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII.

Profondo ascetico, era conosciuto anche come "il poverello d'Assisi" per via del suo spogliarsi di ogni bene materiale e condurre una vita minimale, in totale armonia di spirito. La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è assurta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i quattro grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da papa Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002, da papa Benedetto XVI nel 2011 e da Papa Francesco nel 2016. San Francesco d'Assisi è uno dei santi più popolari e venerati del mondo.

Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana.

Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, eletto papa nel conclave del 2013, ha assunto il nome pontificale di Francesco in onore del santo di Assisi, primo nella storia della chiesa.

Francesco, che aveva un fratello di nome Angelo, nacque nel 1182 da Pietro di Bernardone e, secondo testimonianze molto tardive dalla nobile provenzale Madonna Pica, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi, che, grazie all'attività di commercio di stoffe, aveva raggiunto ricchezza e benessere. Sua madre lo fece battezzare con il nome di Giovanni (dal nome di Giovanni Battista) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, cattedrale dal 1036. Tuttavia il padre decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna.

La sua casa, situata al centro della città, era provvista di un fondaco utilizzato come negozio e magazzino per lo stoccaggio e l'esposizione di quelle stoffe che il mercante si procurava con i suoi frequenti viaggi in Provenza. Il padre Pietro vendeva la sua pregiata merce in tutto il territorio del Ducato di Spoleto in cui all'epoca rientrava anche la città di Assisi.

Le varie agiografie del santo non parlano molto della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia.

Dopo la scuola presso i canonici della cattedrale, che si teneva nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l'attuale basilica di Santa Chiara), a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all'attività del commercio. Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni riguardo all'attività del commercio dei tessuti.

La guerra

Si ha memoria di una guerra che nel 1154 contrappose Assisi a Perugia. Tra le due città esisteva una rivalità irriducibile che si protrasse per secoli. L'odio aumentò a causa dell'alleanza di Perugia con i guelfi, mentre Assisi parteggiò per la fazione ghibellina. Non fu una scelta felice quella degli assisani in quanto nel 1202 subirono una sconfitta e una cospicua perdita di uomini a Collestrada, vicino a Perugia. Tra i giovani che parteciparono al conflitto, venne catturato e rinchiuso in carcere pure Francesco. L'esperienza della guerra e della prigionia lo sconvolse a tal punto da indurlo a un totale ripensamento della sua vita: da lì ebbe inizio un cammino di conversione, che col tempo lo portò «a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore».

Francesco, gravemente malato, dopo un anno di prigionia ottenne la libertà dietro il pagamento di un riscatto, a cui provvide il padre. Tornato a casa, recuperò gradatamente la salute passando molte ore tra i possedimenti del padre. Secondo Tommaso da Celano furono questi luoghi appartati che contribuirono a risvegliare in lui un assoluto e totale amore per la natura, che vedeva come opera ammirabile di Dio.

La conversione

Da un punto di vista storico le circostanze della conversione di san Francesco non sono state chiarite e si hanno notizie solo attraverso le agiografie e il testamento del Santo. Sembra che un ruolo importante lo abbia avuto la sua volontà frustrata di farsi cavaliere e di partire per la crociata, ma soprattutto un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, i lebbrosi, i reietti, gli ammalati, gli emarginati: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso il prossimo.

Nel 1203-1204 Francesco pensò di partecipare alla Crociata e quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere a una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente, passò la notte nella chiesa di San Sabino e qui ebbe un profondo ravvedimento. Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»: alla risposta: «Il padrone», la voce rispose:

«Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo?»

Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare.

Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro.

Pure il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò. Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che

«ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d'anima e di corpo»


Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più significativo della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».

Dopo quell'episodio, le "stranezze" del giovane si fecero ancora più frequenti: fece incetta di stoffe nel negozio del padre e le vendette a Foligno assieme al suo cavallo; tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato, affinché riparasse quella piccola chiesa in rovina, al sacerdote di San Damiano che però, conoscendo il padre e temendo la sua ira, rifiutò la generosa offerta. Pietro Bernardone, con la solidarietà della comunità d'Assisi, riteneva tradite non solo le sue aspettative di padre, ma giudicava il figlio, per la sua eccessiva generosità, in preda a uno squilibrio mentale.

Bernardone cercò, all'inizio, di allontanare Francesco per nasconderlo ai pettegolezzi della gente ma poi, di fronte all'irriducibile "testardaggine" del figlio nel non mutare il suo comportamento, decise di denunciarlo ai consoli per farlo arrestare, non tanto per il danno oneroso subito, quanto piuttosto per la segreta speranza che, sotto la pressione della punizione della condanna dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.

Il giovane, però, si appellò a un'altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, nel Palazzo Vescovile; «tutta Assisi» fu presente al giudizio.

Francesco, non appena il padre ebbe finito di parlare,

«non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza".»

Francesco dava così inizio a un nuovo percorso di vita e il vescovo Guido che lo coprì pudicamente agli sguardi della folla manifestava simbolicamente la protezione e l'accoglienza di Francesco nella Chiesa.

Il soggiorno a Gubbio

Da uomo nuovo Francesco cominciò il suo viaggio: nell'inverno 1206 partì per Gubbio, dove il giovane aveva da sempre diversi amici, tra cui Federico Spadalonga che aveva condiviso con Francesco anche la prigionia nelle carceri di Perugia; Federico lo accolse benevolmente nella sua casa (laddove oggi sorge una chiesa dedicata a San Francesco), lo sfamò e, a quanto pare, fu qui che Francesco si vestì del saio, rifiutando vestiti ben più lussuosi dall'amico.

Ospite degli Spadalonga, Francesco «amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso i lebbrosi restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.» Si trattava del lebbrosario di Gubbio che era intitolato a san Lazzaro di Betania.

Nel suo Testamento Francesco disse chiaramente che la vera svolta verso la piena conversione ebbe inizio per lui a Gubbio, quando si era accostato a queste persone bisognose. Francesco non vi ebbe mai una fissa dimora ma era solito predicare nelle campagne tra Gubbio e Assisi.

Proprio nel contado eugubino, laddove sorgeva la chiesetta di Santa Maria della Vittoria, detta della Vittorina, e l'omonimo parco, San Francesco ammansì il famoso lupo di Gubbio. Sette anni dopo la conversione di Francesco, (nel 1213) il beato Villano, Vescovo di Gubbio, già abate benedettino dell'abbazia di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede nel comune di Gubbio.

I primi compagni e la predicazione

Arrivata l'estate e placatosi lo scandalo sollevato dalla rinuncia dei beni paterni, Francesco ritornò ad Assisi. Per un certo periodo se ne stette solo, impegnato a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San Pietro (al tempo, fuori le mura), la Porziuncola a Santa Maria degli Angeli e San Damiano.

I primi anni della conversione furono caratterizzati dalla preghiera, dal servizio ai lebbrosi, dal lavoro manuale e dall'elemosina. Francesco scelse di vivere nella povertà volontaria e, ispirandosi all'esempio di Cristo, lanciando un messaggio opposto alla società duecentesca dalle facili ricchezze. Francesco rinunciò alle attrattive mondane, vivendo gioiosamente come un ignorante, un "pazzo" ovvero un "giullare", dimostrando come la sua obiezione ai valori egemoni nella società secolare di allora potesse generare una perfetta letizia. In questo senso il suo esempio aveva un che di sovversivo rispetto alla mentalità del tempo.

Il 24 febbraio 1208, giorno di san Mattia, dopo aver ascoltato il passo del Vangelo secondo Matteo nella chiesetta Porziuncola nella campagna di Assisi, Francesco sentì fermamente di dover portare la Parola di Dio per le strade del mondo.[17] Incominciò così la sua predicazione, dapprima nei dintorni di Assisi. Ben presto altre persone si aggregarono a lui e, con le prime adesioni, si formò il primo nucleo della comunità di frati. Il primo di essi fu Bernardo di Quintavalle, suo amico d'infanzia. Tra gli altri si ricordano Pietro Cattani, Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo, frate Elia da Cortona, frate Ginepro. Insieme con i suoi compagni, Francesco cominciò a portare le sue predicazioni fuori dall'Umbria.

L'approvazione del Papa Giotto, Innocenzo III conferma la Regola francescana, Assisi, Basilica superiore

Nel 1209, quando Francesco ebbe raccolto intorno a sé dodici compagni, si recò a Roma per ottenere l'autorizzazione della regola di vita, per sé e per i suoi frati, da parte di papa Innocenzo III. Dopo alcune esitazioni iniziali, il Pontefice concesse a Francesco la propria approvazione orale per il suo «Ordo fratum minorum»: a differenza degli altri ordini pauperistici, Francesco non contestava l'autorità della Chiesa, la considerava come "madre" e le offriva sincera obbedienza. Francesco era la personalità necessaria, che poteva finalmente incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili nel seno della Chiesa, senza porsi come antagonista a essa scivolando nell'eresia.

Del testo presentato al Papa non è rimasta traccia. Gli studiosi pensano, tuttavia, che esso consistesse principalmente in brani tratti dal Vangelo, che col passare degli anni, insieme con alcune aggiunte, confluirono a formare la «Regola non bollata», che Francesco scrisse alla Porziuncola nel 1221.

Fondazione dei primi Conventi

Di ritorno da Roma, i frati si installarono in un "tugurio" presso Rivotorto, sulla strada verso Foligno, luogo scelto perché vicino a un ospedale di lebbrosi. Tale posto tuttavia era umido e malsano, e i frati dovettero abbandonarlo l'anno successivo, stabilendosi presso la piccola badia di Santa Maria degli Angeli, sulla pianura del Tescio, in località Porziuncola. Abbandonata in mezzo al bosco di cerri, venne concessa a Francesco e ai suoi frati dall'Abate di San Benedetto del Subasio.

Vocazione di Chiara e fondazione dell'Ordine femminile

Questa nuova «forma di vita» attirò anche le donne: la prima fu Chiara Scifi, figlia del nobile assisiate Favarone di Offreduccio. Fuggita dalla casa paterna la notte della Domenica delle Palme del 28 marzo del 1211 (o del 18 marzo del 1212), giunse il 29 marzo 1211 (o il 19 marzo 1212) a Santa Maria degli Angeli, dove chiese a Francesco di poter entrare a far parte del suo ordine, e dove all'alba ricevette l'abito religioso dal santo. Francesco la sistemò per un po' di tempo prima presso il monastero benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi. In seguito, quando altre ragazze (fra cui anche la sorella di Chiara, Agnese) seguirono il suo esempio, presero dimora nella chiesetta di San Damiano e diedero inizio a quello che in futuro saranno le clarisse, in cui si distingueranno sante come Caterina da Bologna, Camilla Battista da Varano, Eustochia Calafato. Negli stessi anni diede vita al convento di Montecasale, dove insediò una piccola comunità di seguaci e dove ripetutamente farà poi sosta nei suoi viaggi.


Crescita dell'ordine e viaggio in Egitto

Col tempo la fama di Francesco crebbe enormemente e crebbe notevolmente anche la schiera dei frati francescani. Nel 1217 Francesco presiedette il primo dei capitoli generali dell'Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l'esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l'attività di preghiera, di rinsaldare l'unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni. Con il primo fu organizzata la grande espansione dell'ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna.

Nel 1219, si recò ad Ancona per imbarcarsi per l'Egitto e Palestina, dove da due anni era in corso la quinta crociata. Durante questo viaggio, in occasione dell'assedio crociato alla città egiziana di Damietta, insieme con frate Illuminato ottenne dal legato pontificio (il benedettino portoghese Pelagio Galvani, cardinale vescovo di Albano), il permesso di passare nel campo saraceno e incontrare, disarmati, a loro rischio e responsabilità, lo stesso sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino. Lo scopo dell'incontro era quello di potergli predicare il vangelo, al fine di convertire il sultano e i suoi soldati, e quindi mettere fine alle ostilità.

Ricevuto con grande cortesia dal Sultano, ebbe con lui un lungo colloquio, al termine del quale Francesco dovette tornare nel campo crociato. Intorno a questo evento storico sono fiorite diverse leggende riguardanti il santo e la sua straordinaria capacità di convincere e convertire, anche se al-Malik al-Kāmil rimase musulmano, pur apprezzando Francesco ed elargendogli dei doni in segno di stima.

L'interpretazione del rapporto tra Francesco, l'Islam e le crociate non è facile ed è ancora oggetto di discussione, in quanto c'è contrapposizione tra chi vede la sua azione come un sostegno alle crociate o, al contrario, come una loro sconfessione.[24] La narrazione dell'incontro ci è pervenuta, oltre che tramite le opere di biografi francescani, anche attraverso altre testimonianze non tardive, sia cristiane sia arabe. La versione fornitaci da San Bonaventura cita maltrattamenti subiti ad opera dei soldati saraceni e la difesa, da parte di Francesco, dell'operato dei crociati e la giustificazione della guerra agli islamici infedeli. Nel racconto di Tommaso da Celano, Francesco suscitò profonda ammirazione nel sultano, che lo trattò con rispetto e gli offrì numerose ricchezze. Secondo la narrazione agiografica, Francesco subì anche la prova del fuoco, raffigurata in numerosi cicli dipinti.

La pacifica rivoluzione che il nuovo Ordine stava compiendo cominciò a essere palese a tutti. Incominciarono però anche i primi problemi: Francesco temeva che, ingrandendosi senza controllo, la fraternità dei Minori deviasse dai propositi iniziali. Per dare l'esempio e per potersi dedicare completamente alla sua missione, nel 1220 Francesco rinunciò al governo dell'Ordine in favore dell'amico e seguace Pietro Cattani, che però morì l'anno seguente. Al successivo Capitolo Generale (detto «delle Stuoie», giugno 1221) venne scelto come vicario frate Elia. Nel 1223, con la bolla Solet annuere, papa Onorio III approvò definitivamente la «Regola seconda» (che rispetto alla prima è più corta e contiene meno citazioni evangeliche), che fu redatta con l'aiuto del cardinale Ugolino d'Ostia (il futuro papa Gregorio IX). La doppia stesura della regola a distanza ravvicinata testimonia un ripensamento a fronte di difficoltà nel progetto; Francesco, pur non condannando in sé né la ricchezza, né la sapienza, né il potere, si rendeva conto che i frati che liberamente avevano deciso di seguirlo e di seguire la sua regola di vita stavano diventando colti e accettavano doni e ricchezze (anche se formalmente questi erano incamerati dalla Santa Sede). Non è difficile immaginare che qualcuno, magari usando la scusa di poter meglio servire il prossimo, avesse richiesto più volte una limatura della regola del 1221 e alla fine Francesco cedette, pretendendo però questa volta una fedeltà assoluta, accettandola "senza commento", cioè senza interpretazioni.

Il primo presepe vivente

Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, il putto raffigurante il Bambinello avrebbe preso vita più volte tra le braccia di Francesco. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.

Oltre alla vita attiva Francesco, forse ammalato, sentiva continuamente l'esigenza di ritirarsi in posti solitari per ritemprarsi e pregare (come, ad esempio, l'Eremo delle Carceri di Assisi, sulle pendici del monte Subasio; l'Isola Maggiore sul lago Trasimeno; l'Eremo delle Celle a Cortona). Tali posti offrivano al frate il silenzio e la pace che gli consentivano una più intima preghiera.

Tra il 1224 e il 1226, ormai malato gravemente agli occhi, compose il Cantico delle creature.

«Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo
che le sue membra due anni portarno.»

Secondo le agiografie, il 14 settembre 1224, due anni prima della morte, mentre si trovava a pregare sul monte della Verna (luogo su cui in futuro sorgerà l'omonimo santuario) e dopo 40 giorni di digiuno, Francesco avrebbe visto un Serafino crocifisso. Al termine della visione gli sarebbero comparse le stigmate: «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso». Tali agiografie raccontano inoltre che sul fianco destro aveva una ferita, come quella di un colpo di lancia. Fino alla sua morte, comunque, Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite.


Nell'iconografia tradizionale successiva alla sua morte, Francesco è stato sempre raffigurato con i segni delle stigmate. Per questa caratteristica Francesco è stato definito anche «alter Christus». La condivisione fisica delle pene di Cristo offriva un nuovo volto al cristianesimo, partecipe non più solo del trionfo, simboleggiato dal Cristo in gloria.

Ultimi anni di vita e la morte

Negli anni seguenti Francesco fu sempre più oggetto di varie malattie (soffriva infatti di disturbi al fegato oltre che alla vista). Varie volte gli furono tentati degli interventi medici per lenirgli le sofferenze, ma inutilmente. Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata dettò il "Testamento", che volle fosse sempre legato alla "Regola", in cui esortava l'ordine a non allontanarsi dallo spirito originario.

Nel 1226 si trovava alle sorgenti del Topino, presso Nocera Umbra; egli però chiese e ottenne di poter tornare a morire nel suo "luogo santo" preferito: la Porziuncola. Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre.

Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano, per essere mostrato un'ultima volta a Chiara e alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio. Da qui la sua salma venne trasferita nell'attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).

«Laudate et benedicite mi Signore,
et rengratiatelo et serviatelo cum grande humilitate.»


«A tutti i podestà e ai consoli, ai giudici e ai reggitori di ogni parte del mondo, e a tutti gli altri ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servo nel Signore Dio, piccolo e spregevole, a tutti voi augura salute e pace. Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina. Perciò vi prego con tutta la riverenza di cui sono capace, che a motivo delle cure e preoccupazioni di questo mondo, che voi avete, non vogliate dimenticare il Signore né deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e si allontanano dai suoi comandamenti, sono maledetti e saranno dimenticati da lui.


E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di possedere saranno loro tolte. E quanto più sapienti e potenti saranno stati in questo mondo, tanto maggiori tormenti patiranno nell'inferno. Perciò io con fermezza consiglio a voi, miei signori,che, messa da parte ogni cura e preoccupazione, riceviate con animo benigno il santissimo corpo e il santissimo sangue del Signore nostro Gesù Cristo, in santa memoria di lui.


E vogliate offrire al Signore tanto onore in mezzo al popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che all'onnipotente Signore Iddio siano rese lodi e grazie a tutto il popolo. E se non farete questo, sappiate che voi dovrete renderne ragione davanti al Signore e Dio vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio. Coloro che riterranno presso di sé questo scritto e lo metteranno in pratica, sappiano che sono benedetti dal Signore Iddio.»

 

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