Se questo sito ti piace, puoi dircelo così

Dimensione carattere: +

Studio legale e Organismi di mediazione. La coincidenza della sede lede l'immagine dell'Avvocatura

narrow-corridor-with-doors-2022-06-14-16-13-49-utc

Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Può un avvocato instaurare procedure conciliative ex D.Lgs. n. 28/2010 dinanzi all'Organismo di mediazione di cui egli stesso faccia parte e/o la cui sede coincida o sia contigua con quella del proprio studio professionale? O tale comportamento costituisce illecito disciplinare idoneo a far dubitare dell'imparzialità ed indipendenza dell'avvocato-mediatore ed integrare una situazione di potenziale accaparramento e/o sviamento di clientela?

Sul punto è chiara la norma di cui al comma 4 art.62 del codice deontologico forense secondo cui "L'avvocato non deve consentire che l'organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, o svolga attività presso il suo studio o che quest'ultimo abbia sede presso l'organismo di mediazione."

Ciononostante è capitato che un avvocato abbia instaurato un procedimento presso un organismo con sede contiguo a quella del proprio studio legale e tale caso sia stato esaminato dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n.265 del 30 dicembre 2022.

Vediamo nel dettaglio la questione sottoposta al Consiglio.

I fatti del procedimento disciplinare

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina ha inflitto all'avvocato ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per mesi due per aver convocato la controparte del proprio cliente ad un incontro di mediazione obbligatoria presso l'Organismo di Mediazione presieduto dall'avvocato ricorrente stesso, il cui studio legale non solo è situato al medesimo indirizzo di detto Organismo, ma ha anche sede nel medesimo appartamento. 

 Conseguentemente il CDD ha ritenuto la sussistenza della responsabilità disciplinare per violazione del comma 4 art.55 bis del precedente codice deontologico (art. 62 codice attuale).

Avverso la decisione del CDD l'incolpato ha presentato ricorso sostenendo in particolare che:

  • la condivisione di un locale d'ingresso di accesso a tre autonomi, separati minialloggi non costituisce fattore in grado di ipotizzare commistione di interessi o una situazione di ambiguità;
  • tali immobili sono dotati di autonomi servizi igienici, distinti apparati citofonici, distinte forniture di energia elettrica ed idrica, distinte cassette per la corrispondenza, diverso arredamento e diverse attrezzature ed apparecchiature e che il personale di segreteria è diverso così come diversi sono i recapiti telefonici e di posta informatica.

La decisione del Consiglio

Il Consiglio ha preso atto che, secondo la pacifica ricostruzione dei luoghi riconosciuta dalla decisione impugnata e non contestata dal ricorrente, le sedi di quest'ultimo e dell'organismo di mediazione presentano:

  • il comune ingresso, pur con differente campanello;
  • il comune pianerottolo ed un vano/anticamera condiviso;
  • la diversità delle porte di accesso e poi, a seguire, dei locali propri dello Studio del ricorrente e dell'Organismo di mediazione. Sul punto il Consiglio ha evidenziato che questa contiguità tra la sede dell'organismo di mediazione e quella dello studio legale presenta un disvalore, derivante dalla necessità di evitare la mera apparenza di una commistione di interessi. In altri termini la coincidenza tra le sedi è di per sé è sufficiente a far dubitare dell'imparzialità dell'avvocato mediatore.  

 A questo proposito al Consiglio è parso opportuno sottolineare l'importanza dei principi deontologici, i quali sono posti a difesa e baluardo non soltanto di valori etici nell'esercizio della professione forense, ma anche per la tutela della sua apparenza agli occhi dei terzi. Infatti anche soltanto la contiguità può costituire un fattore che faccia presupporre ai terzi una ipotetica commistione di interessi sufficiente a far dubitare dell'imparzialità ed indipendenza dell'avvocato-mediatore.

Ed infatti il divieto di coincidenza/contiguità opera soprattutto a tutela dell'immagine dell'Avvocatura e per quanto riguarda l'istituto della mediazione il principio mira ad assicurare che i cittadini possano affidarsi ad essa in totale fiducia e trasparenza. Per questo nella decisione impugnata il CDD aveva già evidenziato che "La sovrapposizione tra studio legale e l'organismo di mediazione finirebbe per integrare una indubbia situazione di potenziale accaparramento e/o sviamento di clientela: l'avvocato ospitante od ospitato si troverebbe a godere di una rendita di posizione volta ad acquisire come potenziali clienti coloro che volessero sperimentare la mediazione o coloro che avessero frequentato l'organismo con esito negativo sul piano della conciliazione".

Da tali osservazioni il Consiglio ha desunto che la separazione di locali all'interno del medesimo appartamento non vale ad escludere l'applicabilità dell'art.55 bis comma IV (ora 62, comma 5) del Codice deontologico forense, poiché si tratta di tutelare una condizione astratta di indipendenza ed imparzialità, di garantire, anche visivamente una divisione tra l'attività di difesa e l'attività di mediazione.

Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso, confermando la decisione impugnata.  

 

Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.

Consentita la partecipazione dell’avvocato alle so...
Un abbraccio a Emanuele, ai Colleghi, all'Emilia R...

Forse potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca nel sito