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Sezioni Unite: licenziamento dichiarato illegittimo non conduce a reintegra quando causa sia stata il ritardo

Nel caso di un licenziamento disciplinare che sia stato dichiarato illegittimo dal giudice a causa del ritardo con il quale il datore di lavoro abbia contestato l´addebito al dipendente, poi licenziato, le conseguenze a carico del medesimo datore di lavoro possono consistere soltanto nell´obbligo di corrispondere al lavoratore un´indennità risarcitoria di importo compreso tra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, ma non spetta, invece, al lavoratore la reintegrazione sul posto di lavoro, in quanto tale sanzione si applica a fattispecie diverse e più gravi.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione con sentenza 30985/2017, depositata il 27 divembre, hanno così risolto il conflitto ad esse rimesso dalla quarta Sezione Lavoro con Ordinanza Interlocutoria del 21.4.2017 n. 10159, Pres. Giuseppe Napoletano, Rel. Laura Curcio
(NORME DI LEGGE: art. 18 L. 300/1970 come modificato dalla L. 92/2012 – art. 7 L. n.300/70 – artt. 1175 e 1375 c.c.)
L´Ordinanza di rimessione
Dopo l´entrata in vigore della riforma legislativa dell´art.18 legge n.300/70 per opera della legge n. 92/2012, la questione circa la natura del vizio del licenziamento intervenuto in forza di contestazione tardiva - avevano un riassunto nell´ordinanza di rimessione i giudici della Sezione - "ha assunto rilievo decisivo, per la diversità delle conseguenze sanzionatone stabilite con riferimento a fattispecie diversamente regolate".
Tenuto conto della distinzione tra illegittimità del licenziamento disciplinare per "insussistenza del fatto contestato", (art. 18, c. 4°) e illegittimità del licenziamento per "altre ipotesi", (art. 18, c. 5°)., "diventa centrale stabilire quale significato attribuire alla tardività del licenziamento rispetto al fatto contestato".
Si profilano - avevano continuato i giudici - "due orientamenti contrastanti che le Sezioni Unite sono chiamati a risolvere: a) l´uno che ritiene che la tardività della contestazione e del licenziamento, collocandosi sul piano della conformazione ai principi di correttezza e buona fede (Cass. 16 aprile 2007, n. 9071), non attinga sotto alcun profilo all´insussistenza del fatto contestato, comunque ricorrente nella sua essenza ontologica, indipendentemente dalla sua accezione in senso materiale (Cass. 6 novembre 2014, n. 23669), piuttosto che giuridica (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20540); b) l´altro orientamento, cui può ricondursi la sentenza n.2513/2017, secondo cui la contestazione intempestiva, indipendentemente dalla sussistenza della condotta, ne dimostra l´irrilevanza ai fini della prosecuzione del rapporto, dove la valutazione di irrilevanza proviene dallo stesso datore di lavoro, il quale pur consapevole dell´illecito tenuto dal lavoratore, non ritiene necessario richiedere giustificazioni, manifestando la volontà di prosecuzione del rapporto , così dimostrando, per fatto concludente, la scarsa importanza dell´inadempimento ( art. 1455 c.c.)".
Se una condotta ritenuta di scarsa rilevanza non può considerarsi inadempimento, la contestazione tardiva deve ritenersi irregolare non soltanto sotto il profilo procedimentale, ma anche sotto quello sostanziale, perché di fatto comporta un mutamento di valutazione di gravità della condotta da parte del datore di lavoro che ha subito tale condotta, in un momento successivo a quello in cui era stato invece manifestato un disinteresse per l´inadempimento ed un interesse invece alla prosecuzione del rapporto.
Le sezioni unite, con la sentenza in commento, hanno scelto tale addivenendo alla ricostruzione più rigorosa.
Alessandra Garozzo

 

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