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L’onere della prova nel “colpo di frusta”

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  La tutela dei propri interessi determina, in maniera tautologica, che chi ne è il titolare deve per primo porre in essere tutti gli atti, giuridici e non, che consentano di preservare il più possibile le proprie posizioni giuridiche. L'ordinamento giuridico difatti, salvo casi determinati, non si attiva in via autonoma nella tutela delle predette se il titolare non dimostra alcun interesse. Ciò è tanto vero che nel diritto civile spesso i rapporti sono scanditi dall' antesignano "negozio giuridico" il quale pone al centro la volontà dei soggetti. Non stupisce difatti la struttura del corrispondete diritto processuale che, nell'ambito di un processo di parti, demanda alle stesse gli atti di impulso e l'onere della prova. Emblematico qui è il caso della richiesta del risarcimento del danno derivante dal c.d. "colpo di frusta" che, nella logica delle cose, richiederebbe una documentazione medica: se difatti un soggetto accusa tale danno dovrebbe quanto meno premunirsi con delle "prove" documentali attinenti al suo stato fisico. Su tale punto la Suprema Corte con ordinanza n. 26249/19 ha statuito che la prova del danno può consistere anche in mezzi diversi dagli esami strumentali: ciò difatti sarebbe consentito dall'art. 32 D.L. n. 1/12. In buona sostanza l'articolo poc'anzi citato, ad avviso degli Ermellini, elenca dei criteri che vanno usati in maniera alternativa e non cumulativa in quanto sarebbero fungibili tra di loro.

Era accaduto che un terzo trasportato aveva subito danni a seguito di un incidente stradale: per questo conveniva in giudizio dinnanzi al giudice di pace il conducente dell'autovettura coinvolta nell'incidente e la rispettiva società assicurativa per la responsabilità civile. Il danneggiato asseriva che il veicolo, in cui era trasportato, era stato urtato nel lato posteriore da un'altra autovettura che si era subito allontanata; non era stato dunque possibile identificarla e perciò veniva autorizzata la chiamata della società designata per il Fondo Vittime della Strada (che era la stessa del conducente). La domanda dell'attore veniva accolta ma il riconoscimento del danno veniva limitato a soli due giorni di invalidità temporanea. Poiché dunque il danneggiato riteneva le proprie ragioni frustrate, appellava la pronuncia dinnanzi al tribunale il quale respingeva duramente le sue istanze: nello specifico il giudice di secondo grado riteneva che non era possibile individuare un sostrato probatorio del danno in quanto lo stesso non era suscettibile di un accertamento clinico strumentale obiettivo così come richiesto dall'art. 32 comma 3 quater D.L. n. 1/12. Veniva proposto dunque ricorso per cassazione attraverso il quale si lamentava anzitutto l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame in quanto si finiva per ledere il diritto alla salute di cui all'art 32 Cost. Si censurava inoltre la mancata valutazione di un fatto decisivo: esisteva difatti nel caso di specie un accertamento radiografico del danno patito ed il C.T.U aveva riscontrato sia gli effetti sia il nesso eziologico del danno stesso.  

La Corte di Cassazione evidenzia che l'articolo censurato non pone in sé delle limitazioni alla prova del danno ma ribadisce l'onere della prova stessa; il tribunale aveva dunque rigettato l'appello perché riteneva che il danno alla salute non fosse risarcibile nel caso di specie. Il danno biologico difatti va "certificato" con l'accertamento medico-legale che può escludere il pregiudizio permanente alla salute anche se gli esami strumentali siano positivi; così come può accertarlo anche se mancano i suddetti esami strumentali. I criteri così individuati (esame obiettivo, esame clinico ed esame strumentale) sono alternativi tra loro e riconducibili alla tradizione degli accertamenti medico-legali.Il tribunale aveva dunque valutato il fatto storico quale "fatto decisivo" ritenendo inammissibile lamentare con tale motivo la mancata valutazione di una prova che tra le altre cose non è stata allegata. 

 

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