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Sergej Hessen, il "Rivoluzionario" e la "scuola del lavoro"

Sergej Hessen, il "Rivoluzionario" e la "scuola del lavoro"

 Sergej Hessen(Syktyvkar, 18871950) è stato un pedagogista russo.

Nasce a Ust'-Sysolsk (oggi Syktyvkar), in Siberia, nel 1887 da una famiglia di giuristi.

Studia alla scuola di Rickert e apprende la filosofia dei valori lo spiritualismo e l'idealismo che saranno le basi del suo pensiero. Si forma inoltre attraverso la lettura di scrittori come Tolstoj, Dostoevskij e Marx.

Vive al centro degli avvenimenti politici più significativi del secolo. Aderisce alla Rivoluzione d'Ottobre, combattendo nel gruppo Plechanov, con l'intento di dare al mondo operaio uno futuro democratico. Il suo ideale è un socialismo giuridico.

Nel 1923 si allontana dalla linea politica di Lenin e decide di emigrare. Insegna la filosofia dell'educazione e la filosofia del diritto in Finlandia, Germania e Cecoslovacchia. Si trova in Germania nel momento dell'avvento del Nazismo. Momento storico che lo induce a riprendere la sua battaglia a favore della difesa dell'autonomia della pedagogia e dei valori culturali.

Difende la scuola autenticamente democratica che sta a fondamento della cultura occidentale prima che essa venisse ridimensionata dalle ideologie totalitarie.
Durante la seconda guerra mondiale e negli anni successivi Hessen non si distoglie dal suo impegno.
Nel 1949 scrive democrazia moderna per l'UNESCO, e nello stesso anno dimostra un impegno pedagogico e civile scrivendo: pedagogia e mondo economico in cui studia i problemi pedagogici di una società moderna ed industriale.
Muore poco dopo nel 1950

 Le reazioni alla scuola passiva, pp. 135-139

La "scuola del lavoro"

«Espressione estrema e cosciente di questa stessa aspirazione ad un nuovo schema della totalità scolastica, appare anche quella corrente della "scuola del lavoro" che scorge l'essenza del lavoro scolastico nel fatto che la classe, con un proprio lavoro comune, crea un nuovo "prodotto di comune utilità", fino allora non esistente. Giacché il lavoro, che viene chiamato a definire il concetto della nuova scuola, nel senso più nobile della parola, (in russo trud), appunto per questo si distingue dal lavoro come fatica (in russo robota), in quanto sviluppa la personalità di chi lavora e al tempo stesso la collega con gli altri, cioè la socializza».
[...]
IV Essenza della scuola del lavoro, pp. 139-167

«L'essenza della scuola del lavoro consiste appunto nel porre a base della propria struttura, anziché il principio della genericità meccanica, quello della totalità concreta. Il momento sociale e il momento dell'individualità, affermati in maggiore o minore misura, secondo le diverse concezioni di codesta scuola, appaiono come momenti dello stesso principio fondamentale. La totalità è il vero oggetto delle aspirazioni e degli sforzi della pedagogia moderna, anche se in modo non sempre consapevole. Secondo il nuovo schema di lavoro scolastico, l'insegnante non propone un modello che tutti gli alunni debbano ripetere individualmente, ma assegna un compito che tutta la classe risolve in uno sforzo comune. Come risultato di codesto sforzo, sorge il prodotto del lavoro comune, qualche cosa di nuovo, che prima non esisteva.
Nel processo di tale lavoro collettivo, lo sforzo di un alunno non procede parallelo, senz'incontrarsi con quello dell'altro; tutti gli sforzi si completano a vicenda, in modo che ogni alunno occupa, in codesto lavoro collettivo della classe, un proprio posto determinato, e diventa insostituibile, vale a dire diventa un membro individuale del complesso che lo contiene.
Questo schema spiega anche la particolare denominazione della nuova scuola: scuola del lavoro. Se, infatti, esiste differenza tra il lavoro, nel senso più nobile della parola, da un qualsiasi sforzo, essa sta proprio nel fatto che il vero lavoro ha carattere sociale, ed è capace di unire e di creare, mentre il semplice sforzo solo raccoglie i giovani in uno stesso luogo ed impone a ciascuno la ripetizione di una stessa opera. In questo senso, il vero "lavoro" (quello che i russi chiamano trud) è sempre permeato, più o meno, di una creatività che assicura la crescita della personalità del lavoratore e perciò stesso la soddisfa.

Già D. Mendelejev ha chiarito assai acutamente che il problema sociale non consiste nel liberare l'uomo dal lavoro, ma nel compenetrare e nobilitare ogni lavoro col principio della creatività. Liberazione nel lavoro, quindi, e non già dal lavoro, talché non esiste un "problema del lavoro" ma solo una "questione operaia". La "scuola del lavoro" è lavorativa solo in quanto ravvisa il proprio scopo nel sostituire il lavoro efficiente al lavoro puramente meccanico.




Attività della scuola del lavoro
Il tipico insegnante della scuola passiva è loquace, mostra tutto, si muove continuamente, mentre la classe riceve passivamente, disunita nello stesso lavoro. Nella scuola del lavoro, al contrario, abbiamo una classe attiva nel lavoro, unita per uno scopo comune, e un'insegnante che tranquillamente e senza dar nell'occhio e senza rumore anima codesto lavoro collettivo della classe. La sua funzione può dirsi passiva? Sì, ma solo se qualifichiamo per attività una confusa eloquenza; che se, invece, consideriamo la sua indipendente creatività, allora no che non è passiva. Il maestro che, nella scuola effettivamente passiva, mette un modello dinanzi ai suoi alunni perché lo ripetano, di necessità, poi, cerca egli stesso un modello per il proprio lavoro; e lo trova nel manuale, o in quella esemplare lezione didattica impartitagli da un maestro ancor più autorevole e competente di lui. Nella scuola attiva, nella scuola del lavoro, al contrario, viene infranta la supremazia del testo, ogni classe rappresenta qualche cosa di individuale e di originale, talché le lezioni e i compiti non vi si possono ripetere. Come accade spesso nella vita solitaria, così anche nella scuola del lavoro, sotto l'esteriore passività del maestro si nasconde lo sforzo di un indipendente lavoro interiore, una continua vigilanza della volontà, capace di impostare il problema come fluisce dalle circostanze che si sono determinate, e, spesso, di venire in aiuto là dove il lavoro ristagna, per risolvere in tempo utile le difficoltà sopravvenute.
Lavoro attivo e lavoro passivo
Ciò significa che il lavoro attivo si distingue dal lavoro passivo (che è solo fatica), e la scuola del lavoro dalla vecchia scuola, non già per il contenuto, ma per la loro particolarità formale, ossia per la loro struttura. Non è il materiale didattico che diversifica la scuola del lavoro dalla scuola passiva, ma il fatto che la scuola del lavoro trasforma sostanzialmente la qualità degli alunni e dei maestri. Tutti gli errori di concezione della scuola del lavoro, come anche il suo effettivo sovvertimento, derivano, in realtà, dal fatto che l'idea formale del lavoro, ingiustificatamente ristretta, ed il suo momento strutturale o qualitativo, per cui il lavoro attivo si distingue dalla fatica, vengono sostituiti da questo o da quel contenuto particolare di realizzazione lavorativa.
Così l'idea della scuola del lavoro, in quanto scuola di lavoro manuale, trascura il fatto che codesto lavoro può essere impostato, e troppo spesso accade così, come lavoro passivo, unicamente come fatica; e che, per converso, l'attività intellettuale può essere organizzata come lavoro attivo, e cioè creativo.
[...]


In generale, è necessario liberarsi dalla contrapposizione del tutto ingiustificata, tra "parola" e "oggetto materiale", sia per esaltare oltre misura la parola, sia, al contrario, per troppo abbassarla. Come il legno, il ferro e l'argilla, anche la parola rappresenta un oggetto degno del lavoro umano, purché la personalità dell'uomo riesca attiva e creativa. Il fatto fisico non è né migliore, né peggiore del fatto psichico, dal quale in sostanza, non può nemmeno venire separato. Il lavoro fisico, in quanto attivo, si trova sempre unito al lavoro intellettuale. D'altra parte, e troppo spesso, anche il lavoro "intellettuale" si riduce a quello meramente fisico del meccanismo della parola e della scrittura.


La scuola del lavoro non tende già ad abbassare ogni lavoro intellettuale al livello di quello fisico, sebbene, piuttosto, a trasformare ogni lavoro, intellettuale o fisico che sia, in fonte di totale sviluppo della personalità umana.


Cultura generale e cultura generale "specifica". Contenuto e forma
Il concetto materiale della cultura generale, che veniva esattamente chiamata "formale", costituiva la base della vecchia scuola, tanto professionale che d'istruzione generale. Si pensava che esistesse una certa somma di conoscenze, uguale per tutti, che rappresentasse di per se stessa la cultura generale. La scuola del lavoro respinge fin da principio codesto astratto concetto di cultura generale. Si può insegnare qualsiasi materia, perfino la culinaria, in modo da renderla fonte di sviluppo generale per la personalità dell'alunno, e d'altra parte qualsiasi materia, anche le lingue classiche, se insegnata come aggregato di nozioni e di abitudini elaborate e isolate, può soffocare ogni aspirazione alla cultura generale.

Non si tratta di ciò che insegniamo, ma di come insegniamo; cioè, si tratta anzitutto del lavoro formale, qualitativo, ossia della struttura dell'insegnamento. L'"universalità" della cultura non risiede nel preteso "umanesimo" del suo contenuto, ma nella forma che vi assume la totalità che gli è propria. Il concetto astratto di cultura generale, viene sostituito da un concetto concreto della cultura, cioè dal concetto di cultura generale "specifica", le cui vie sono multiformi come è multiforme il contenuto stesso della vita della società moderna».

 

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