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Sentenza "Mafia Capitale", don Ciotti critico: si rischia la rimozione e un nuovo sistema di corruzione

All´indomani della clamorosa sentenza che ha posto fine, in primo grado, al processo Mafia Capitale, interviene il fondatore e presidente di Libera don Luigi Ciotti, il quale, probabilmente non a caso, affida il suo intervento al più importante periodico del mondo cattolico, Famiglia Cristiana, quasi a sottolineare la condivisione del suo pensiero della Chiesa italiana.
Molto critico con la sentenza, il fondatore di Libera dice: "Aspettiamo di conoscere le motivazioni che hanno portato a escludere il reato di associazione mafiosa nel processo di Roma ma sarebbe grave che la sentenza inducesse meccanismi di rimozione, gli stessi che per malafede e complicità hanno portato per decenni a negare la presenza delle mafie al Nord. Tanto più che tra queste e la corruzione il confine è sempre più labile".


Le sentenze, come noto, hanno delle motivazioni, e aspettiamo di conoscere quelle che hanno portato a escludere il reato di associazione mafiosa nel processo di "Mafia capitale". Ciò non toglie che la valutazione lasci un po´ perplessi e ancor di più lo lasci l´ atteggiamento di chi oggi canta vittoria, come se l´ accertamento di reati molto gravi, ma diversi da quelli denunciati dalla pubblica accusa, non sia una sconfitta sulla quale tutti dobbiamo umilmente e onestamente riflettere. Si tratta insomma di guardare alle cose come stanno, al di là di nomi, definizioni e criteri di giudizio che possono anche invecchiare, diventare anacronistici, non favorire dunque la ricerca di verità. Mi permetto quindi con umiltà, ripeto, di fare qualche riflessione a margine.

La prima riguarda il legame sempre più forte tra mafie e corruzione. Le carte processuali e le intercettazioni hanno evidenziato una complessa e articolata realtà criminale che ha spolpato e lacerato il tessuto sociale, economico e politico di un´ intera metropoli. Che i metodi utilizzati non siano mafiosi in senso stretto saranno appunto le motivazioni a dimostrarlo, ma questo non faccia dimenticare il dato più inquietante di questi ultimi anni, ossia la sempre maggiore commistione, a tratti sovrapposizione, tra metodi mafiosi e metodi corruttivi.

Si legga a riguardo l´ ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, dove si scrive tra l´ altro: «È questa la novità introdotta dalla criminalità che vuole aggiudicarsi gare e appalti pubblici utilizzando la corruzione. Non più soltanto tangenti per entrare nella partita ma intervento diretto nell´ attività di ideazione, gestione e realizzazione dei bandi di gara». O ancora, il passo dove dei boss mafiosi si dice che «pur mantenendo sullo sfondo la possibilità del ricorso alla violenza» la strategia prediletta oggi è «la via negoziale, che altro non è che estrinsecazione del metodo collusivo-corruttivo a ogni livello». Attenzione quindi agli schematismi e ai criteri che si rifanno magari ad altri tempi, altre situazioni criminali: oggi il confine tra mafie e corruzione è sempre più labile.

La seconda riflessione riguarda la presenza delle mafie a Roma e nel Lazio, come in ogni altra città e regione d´ Italia, a partire da quelle di rilevanti interessi politico-economici. È una presenza accertata da anni, come dimostra il grande numero di beni confiscati, la consistenza del traffico di droga e di cocaina in particolare o, per fare un esempio specifico, l´ egemonia a Ostia di bande criminali. Nel suo piccolo Libera denunciò il fenomeno nel lontano 2009, in un incontro allo storico Café de Paris di via Veneto, appena sequestrato e poi confiscato. Sarebbe grave che la sentenza di "Mafia capitale" inducesse meccanismi di rimozione, gli stessi che per pressapochismo, malafede ma anche complicità più o meno dirette, hanno portato per decenni a negare la presenza delle mafie al Nord.

L´ ultima riflessione riguarda un aspetto niente affatto secondario di questa vicenda criminale. La corruzione – mafiosa o meno che fosse – veniva esercitata anche sulla pelle e sulle speranze dei poveri: immigrati, detenuti, persone in cerca di lavoro. Non so se questo possa configurarsi come un´ aggravante dal punto di vista penale, ma lo è senz´ altro da quello morale e etico. L´ indifferenza e il cinismo rischiano di diventare tratti dominanti del panorama sociale, mali di un Paese dove già accade che si rida e ci si compiaccia delle sciagure altrui in vista di futuri arricchimenti personali. Per questo mi auguro che la sentenza di Roma, al di là dei risvolti giuridici e dei giudizi affrettati su vincitori e vinti, rappresenti un´ occasione per recuperare quel po´ di responsabilità e impegno per il bene comune necessari per costruire una società libera dalle mafie e dalla corruzione.


 

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