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Scuola, bullismo: in assenza di misure contro tale fenomeno, giustificabile la reazione della vittima

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Nelle ipotesi di bullismo, sono da condannare sia i comportamenti prevaricatori e vessatori che quelli reattivi delle vittime. Tuttavia, in tali casi, ove questi episodi vedano coinvolti compagni di scuola, il giudice non può non tener conto delle misure che l'amministrazione scolastica abbia adottato al fine di prevenire e condannare il fenomeno del bullismo. Con l'ovvia conseguenza che ove la scuola non dimostri come abbia agito per arginare tale fenomeno e la vittima venga privata del meccanismo repressivo istituzionale dell'illecito, nei confronti di quest''ultima, anche se non reagisce istintivamente e nell'immediatezza degli episodi, ma vendicandosi e attuando una condotta lesiva successiva, troverà applicazione la regola del concorso di colpa di cui all'art. 1227 c.c. E ciò in considerazione del fatto che, in questi casi, il giudice dovrà «accedere a un piano di valutazione della dimensione complessiva della convergenza e dell'interazione di tutti i fattori concausali all'interno della più ampia fattispecie di responsabilità civile».

Questo è quanto ha statuito la Corte di cassazione, con ordinanza n. 22541 del 10 settembre 2019.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa.

I ricorrenti, genitori dell'alunno minorenne che ha causato un trauma facciale a un altro compagno di scuola, sono stati chiamati in giudizio, unitamente al figlio, dal danneggiato affinché fossero condannati in solido al risarcimento dei danni dallo stesso subiti in conseguenza del comportamento del danneggiante. In primo grado, il Tribunale ha:

  • dichiarato il difetto di legittimazione passiva dei genitori di quest'ultimo;
  •  accertato un concorso di colpa;
  • condannato il danneggiato al risarcimento dei danni.

Il danneggiato ha impugnato la sentenza in quanto, a suo dire, erronea nell'aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva dei genitori del danneggiante e accertato il concorso di colpa, con conseguente riduzione del risarcimento dei danni. La Corte d'appello ha accolto l'impugnazione e così il caso è giunto dinanzi alla Corte di cassazione.

Ripercorriamo il suo iter logico-giuridico.

La decisione della SC.

I Giudici di legittimità, partendo dal principio secondo cui «l'educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti» (Cass., n. 18804/2009), affermano che per escludere la responsabilità dei genitori di un minore, in eventi come quelli di cui alla fattispecie in esame, questi ultimi devono dimostrare:

  • «di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore»;
  • «di aver impartito al minore un'educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari»;
  • «di aver esercitato sul minore una vigilanza adeguata all'età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un'ulteriore o diversa opera educativa».

A parere della Suprema Corte di cassazione questo non vuol dire che i genitori devono provare di essere sempre con il figlio, ma che per l'educazione impartita, per l'età del figlio e per l'ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, devono dimostrare che sono stati correttamente impostati i rapporti con gli altri senza che detti rapporti costituiscano fonte di pericolo. Premesso questo, i Giudici di legittimità, passano a esaminare il comportamento del danneggiante.  

A loro avviso, la Corte d'appello ha errato perché, nel caso di specie, tale autorità non ha tenuto conto del fatto che la condotta lesiva del minore è una conseguenza degli atti di bullismo commessi dal controricorrente in danno del danneggiante. Secondo la Corte di cassazione, se è vero che bisogna condannare sia i comportamenti repressivi e vessatori che quelli reattivi, soprattutto ove questi ultimi non siano frutto di una reazione immediata e istintiva ai primi, ma di una vendetta premeditata, è altrettanto vero che occorre tener conto sempre del caso concreto. Qualora, infatti, non vi sono «prove riguardo al come le istituzioni, la scuola, in particolare, siano intervenute per arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere l'alunno bullizzato, quindi mancando anche la prova della ricorrenza di espressioni di condanna pubblica e sociale del comportamento adottato dai cosiddetti bulli», non è legittimo attendersi da parte dell'adolescente vittima di bullismo, una reazione razionale, controllata e non emotiva. E ciò in considerazione del fatto che «è innegabile che la risposta ordinamentale non può essere solo quella della condanna dell'atto reattivo come comportamento illecito a se stante», quando è frutto di una vendetta premeditata, dal momento che le istituzioni, come appunto le scuole, devono «predisporre interventi di contrasto della piaga del bullismo attraverso un programma serio e articolato fondato su specifiche direttive psicopedagogiche e su forme di coinvolgimento dei genitori» al fine di non lasciare sola la vittima nell'affrontare il conflitto. Nel caso di specie non risulta che la scuola abbia provato tale circostanza, né risulta che il giudice abbia tenuto conto di tale situazione, con l'ovvia conseguenza che la Corte di cassazione ha ritenuto applicabile la regola del concorso di colpa ex art. 1227 c.c. e per tal verso, ha accolto il ricorso.

 

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