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Ripetibilità delle somme utilizzate da un coniuge.

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 Con l'ordinanza n. 5385/2023 la Corte di Cassazione, Sezione terza Civile, ha analizzato il tema della ripetibilità delle somme usate da un coniuge per adempiere le obbligazioni contratte dalla coppia in costanza di matrimonio. 

Nel caso in esame la domanda di ripetizione delle somme riguardava la metà dei ratei del mutuo cointestato che, in costanza di convivenza un coniuge aveva totalmente erogato.

L'argomento è stato per molto tempo discusso da dottrina e giurisprudenza che hanno spesso fornito decisioni contrastanti, alle volte rigettando la domanda di restituzione pro quota ed altre volte accogliendola.

Nel caso in questione, la vicenda nasce a seguito della separazione tra due coniugi.

Il marito proponeva ricorso ex art. 702 bis cpc rivendicando la restituzione della quota del 50% dei ratei del mutuo ipotecario cointestato gravante sulla casa familiare, che entrambi avevano acquistato in comproprietà, assumendo egli di aver provveduto all'integrale pagamento e di aver, in conseguenza, maturato il diritto alla restituzione del 50% degli importi corrisposti all'istituto bancario mutuante.

Respinta dal Tribunale di Treviso, ed in secondo grado dalla Corte di Appello di Venezia la domanda, il richiedente proponeva ricorso dinanzi la Corte di Cassazione articolando ben undici motivi, i primi sei dei quali incentrati sulla violazione (nell'ordine) degli artt. 115 cpc, 116 cpc, art. 112 cpc, 132 cpc ed ancora degli artt. 1298 e 1299 cc e dell'art. 143 cc e dell'art. 2729 cc con i quali il ricorrente si doleva della errata valutazione delle prove e delle dichiarazioni rese dalle parti avanti al Giudice di merito e, in particolare, della erronea applicazione dell'art. 143 cc.

Alla disamina di tale ordinanza della Corte, è opportuno premettere una pur breve analisi del contenuto precettivo dell'art. 143 cc, nella parte in cui delinea l'insieme dei diritti e dei doveri che sorgono dal rapporto di coniugio.

Come è noto il matrimonio si fonda sul principio della solidarietà morale e materiale, principio non derogabile.

 Di particolare interesse sono l'obbligo di assistenza materiale e quello di contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione alla propria capacità reddituale e patrimoniale

Orbene, accade di frequente che, uno dei coniugi decida di impiegare le risorse provenienti dall'esercizio dell'attività lavorativa, o il patrimonio personale, a beneficio dell'altro coniuge, nel perseguimento di un interesse comune: uno dei casi più frequenti concerne proprio l'acquisto della casa familiare, allorquando i coniugi prevedano di provvedere in parti eguali al pagamento dei ratei di mutuo gravanti sull'abitazione comune di proprietà di uno solo dei due o quando sia un solo coniuge, che gode di maggiori risorse economiche, a provvedere in via esclusiva ed integrale al pagamento dei ratei del mutuo contratto per l'acquisto in comproprietà dell'immobile.

I problemi sorgono pertanto, allorquando, nel momento della disgregazione del nucleo familiare uno dei due per svariati motivi, che sia per obbligo di rivalsa, per esigenze economiche o altro ancora,  decida di non corrispondere più alcunché o di chiedere la restituzione di quanto versato.

Dal punto di vista della banca occorre precisare che gli accordi tra coniugi (siano essi privati o intervenuti in fase di separazione) non rilevano.

In altre parole, il cd accollo interno, che appunto riguarda gli accordi intercorsi tra i coniugi in relazione al pagamento dei ratei senza alcun coinvolgimento dell'istituto mutuante, non dispiega alcuna efficacia modificativa e/o estintiva delle obbligazioni assunte dal mutuatario con l'istituto di credito che quel mutuo ha erogato, esulando tale ipotesi dalla fattispecie di cui all'art. 1273 cc.

E' definitivamente tramontato l'indirizzo minoritario espresso in epoca risalente dalla Corte, che in alcune pronunce affermava che, trattandosi di un incremento del patrimonio, il coniuge beneficiario era tenuto ad indennizzare l'altro (Cass. sentenza n.5866 del 26 maggio 1995 e Cass. sentenza n.19454 del 9 novembre 2012).

 Con l'ordinanza n.5385 del 21 febbraio 2023 la Corte di Cassazione, attraverso la puntuale disamina della norma di cui all'art. 143 cc, pone una definitiva interpretazione della controversa e quanto mai attuale questione.

Secondo la Corte, il tema impone la disamina del dovere di contribuire ai bisogni della famiglia e della pretesa di ottenere la restituzione delle somme anticipate da un coniuge quando la comunione dei coniugi sia cessata, proponendo il ricorrente una soluzione interpretativa della norma che la Corte aveva da tempo confutato ritenendola in contrasto con il precetto di cui all'art. 143 cc.

Difatti, il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia si fonda sul pari valore del lavoro professionale e del lavoro casalingo, entrambi finalizzati al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi del nucleo familiare, ciò significa che tale dovere può essere tra i coniugi frutto di decisioni diverse, ad esempio concordando che uno dei due svolga la sua attività lavorativa a tempo pieno mentre l'altro in mobilità part – time, dedicando parte della giornata alla cura della casa ed all'accudimento della prole; o, che soltanto uno dei coniugi svolga attività lavorativa, mentre l'altro la svolge all'interno della famiglia prestando cure ed accudimento.

Tutte le attività indicate e non solo rientrano nella categoria degli obblighi di natura personale, la cui funzione è proprio quella di adempiere all'obbligo di solidarietà familiare.

Secondo l'articolato ragionamento della Corte deve escludersi (salvo sia fornita prova contraria) la ripetibilità delle attribuzioni eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita comune. In particolare, qualora uno dei coniugi provveda all'integrale pagamento dei ratei del mutuo cointestato, deve escludersi che egli possa in un momento successivo alla cessazione della convivenza matrimoniale richiedere la restituzione della metà delle somme erogate all'altro, dal momento che tale condotta, volontariamente agita anche utilizzando le maggiori risorse economiche di cui si dispone, costituisce adempimento dell'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 cc e deve valutarsi quale manifestazione del dovere di collaborazione nell'interesse della famiglia e di solidarietà coniugale.

Pertanto, la Corte di Cassazione, armonizzando la dottrina maggioritaria in argomento con le precedenti citate decisioni, ribadisce il principio secondo cui l'obbligazione contributiva prevista e disciplinata dall'art. 143 cc, fondata sull'obbligo di assistenza morale e materiale nell'interesse della prole e del coniuge, esclude la ripetibilità delle somme impiegate da un coniuge per il soddisfacimento dei bisogni e degli interessi della famiglia, trattandosi di una prestazione economica doverosa, il cui apporto viene bilanciato dalle attività di cura e di accudimento del nucleo familiare svolte dall'altro coniuge ciò anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo non goda di un reddito di misura tale da consentirgli di partecipare alla gestione della famiglia offrendo un apporto economico.

A tale principio, argomenta la Corte, può farsi eccezione unicamente nella diversa ipotesi in cui il coniuge, il quale pretende di ottenere la restituzione delle somme anticipate, possa dimostrare che l'erogazione sia avvenuta per una causa diversa, quale ad esempio un prestito all'altro coniuge. Prevale pertanto la sussistenza di un progetto di vita comune e di un comune obiettivo che i coniugi intendevano conseguire e che hanno concretizzato in costanza di unione.

 

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