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Revoca del mandato, sussistono per l’avvocato, i medesimi obblighi previsti per la rinuncia

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Con la sentenza n. 2755 dello scorso 30 gennaio, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno confermato la sanzione disciplinare dell'avvertimento inflitta ad un legale che, dopo esser stato revocato dal proprio cliente, aveva omesso di comunicargli il rinvio di udienza, precludendogli una più opportuna difesa a mezzo di memoria istruttoria con eventuale nuovo difensore.

Si è, difatti, ritenuto integrata la violazione dei doveri di diligenza, di informazione e di adeguato preavviso previsti dal codice deontologico forense, posto che i doveri di informazione e di comunicazione dell'avvocato nei confronti della persona già assistita persistono sia nell'ipotesi di rinuncia che di revoca del mandato, anche se il codice deontologico della professione forense disciplina solo la prima fattispecie, atteso che la revoca del mandato costituisce, al pari della rinuncia, una soluzione di continuità nell'assistenza tecnica e, pertanto, deve ritenersi fonte dei medesimi obblighi necessari al fine di non pregiudicare la difesa dell'assistito.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio da un esposto presentato nei confronti di un avvocato che, ricevuta la revoca dell'incarico dal proprio assistito, in violazione dei doveri di diligenza di cui all'articolo 8 e 38 del codice deontologico e di informazione e di adeguato preavviso di cui agli articoli 40 e 47 del medesimo codice, non lo informava dell'avvenuto rinvio di udienza, precludendogli una più opportuna difesa con memorie istruttorie redatte dal nuovo difensore. 

Per tali fatti, il COA di Pistoia, ravvisata la responsabilità del ricorrente, infliggeva la sanzione disciplinare dell'avvertimento.

Il Consiglio Nazionale Forense confermava l'irrogata sanzione, con rigetto del ricorso presentato dal legale.

Quest'ultimo, ricorrendo in Cassazione, deduceva vizio di violazione dell'art. 47 del previgente codice deontologico, degli artt. 3 e 65 della legge n. 247/2012, dell'art. 360 c.p.c. e dell'art. 132 n. 4 c.p.c., nonché difetto di motivazione e/o insufficiente e illogicità della stessa.

In particolare, il ricorrente eccepiva che la vicenda doveva essere analizzata sotto il profilo della revoca e non della rinuncia al mandato, per la quale ultima fattispecie sarebbe mancato nel codice deontologico una specifica disciplina.

In punto di fatto evidenziava come – sebbene fosse stato accertato, e riconosciuto dal Consiglio Nazionale Forense, che il mandato professionale si era interrotto per revoca – ciononostante la decisione impugnata non aveva conseguentemente fatto venir meno ogni sanzione disciplinare a proprio carico.

Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive del ricorrente. 

Gli Ermellini ribadiscono che, indipendentemente dall'accertamento, in concreto, di una ipotesi di rinuncia ovvero di revoca del mandato conferito, persiste comunque il dovere del professionista di comunicazione nei confronti della persona già assistita: difatti, pur se l'art. 47 (ora 32) del codice deontologico disciplina la sola fattispecie della rinuncia al mandato, tuttavia la fattispecie, seppur diversa, della revoca deve ritenersi fonte dei medesimi obblighi di comunicazione da parte del professionista.

Gli Ermellini, inoltre, ricordano che, anche se il caso della revoca non è espressamente tipizzato, è pur sempre possibile ricondurre in via analogica una condotta deontologicamente rilevante alla previsione di analogo illecito considerato espressamente dalla norma regolamentare deontologica.

Ne deriva che anche la revoca del mandato costituisce, al pari della rinuncia, una analoga soluzione di continuità nell'assistenza tecnica e, quindi, deve ritenersi sottoposta ad identiche ragioni di tutela in favore della parte assistita, con conseguente sussistenza in capo al difensore, ancorché revocato, dei medesimi obblighi informativi necessari al fine di non pregiudicare la difesa dell'assistito.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione rileva che la comunicazione alla parte del rinvio di udienza avrebbe consentito più opportunamente la difesa dell'assistita a mezzo di memoria istruttoria con eventuale nuovo difensore: sotto tale specifico aspetto, l'omissione dell'avvocato rileva sotto il profilo della correttezza e diligenza, con conseguente integrazione di un illecito deontologico per violazione degli artt. 6 e 8 del codice deontologico previgente (attuali articoli 9 e 12).

La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale. 

 

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