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Dopo l'autonomia, si intende regionalizzare la Scuola? Se è così, lo si dica chiaramente

maria-di-benedetto

  Il Governo ha dato parere favorevole alle bozze d'intesa per sancire l'autonomia regionale di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. A queste tre Regioni presto se ne aggiungeranno altre, soprattutto del Nord, mentre a Sud si teme che la strada imboccata porti a un ulteriore depauperamento. Manca ancora l'accordo definitivo, tuttavia le preoccupazioni cominciano a salire, soprattutto riguardo al tema dell'istruzione. Nel piano delle proposte, infatti, c'è anche la volontà di regionalizzare la Scuola sulla base delle risorse economiche legate al territorio. Se la proposta diventasse legge, si verrebbe a creare un sistema educativo differenziato in materia di offerta formativa, trattamento economico del personale scolastico e criteri per la selezione del personale e dello scorrimento delle graduatorie. Lo stesso vale per la scuola, settore in cui le regioni che hanno potuto chiedere, in maniera corretta rispetto alla Costituzione, maggiore autonomia, puntano a partecipare all'organizzazione didattica, alla gestione della valutazione e dell'alternanza Scuola-lavoro. Soprattutto però vorrebbero bandire concorsi su base regionale, gestire le graduatorie dei precari e pagare in modo differenziato gli stipendi dei docenti. Il Veneto, per fare un esempio, avrebbe fondi a gestione autonoma e potrebbe decidere di pagare gli insegnanti più della Calabria.

  Già adesso le scuole delle regioni più ricche offrono agli studenti maggiori possibilità rispetto a quelle più povere e le diseguaglianze tra scuole di città e periferia o tra quelle del Nord- dove ci sono imprese che intendono investire sulla scuola- e quelle del Sud, sono già presenti e non potrebbero che ampliarsi a dismisura con l'autonomia differenziata. In altre parole, la proposta sembra voler creare sistemi scolastici differenziati, basati sulle risorse economiche delle singole Regioni e senza tener conto del principio dell'unitarietà dell'istruzione.Secondo il dettato costituzionale, invece, la scuola svolge una funzione primaria in tutto il territorio dello Stato e per tutti i cittadini, a prescindere dal reddito, dall'identità culturale o religiosa e dalla Regione di residenza. Il risultato è che il principio delle "pari opportunità" verrebbe scavalcato dalle ragioni economiche, di conseguenza si verrebbe a creare un'istruzione frammentata e non più unitaria, con il rischio che si inneschi un pericoloso meccanismo di competizione tra Regioni. I profili di incostituzionalità della regionalizzazione della Scuola sembrano essere molteplici: il differente inquadramento contrattuale degli insegnanti, su base regionale invece che a livello nazionale; diversi criteri di reclutamento e meritocrazia della classe docente; differenziazione degli standard qualitativi dell'istruzione; percorsi educativi diversificati.

 La proposta ha da subito provocato la reazione del mondo docente e dei maggiori sindacati a tutela del diritto all'istruzione, in quanto crea una ingiustificata disparità di trattamento, scontrandosi con il dettato costituzionale degli articoli 33 e 34. In particolare, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna chiedono di differenziare la programmazione, l'offerta formativa e i percorsi di alternanza scuola-lavoro. Vogliono inoltre disciplinare autonomamente l'assegnazione di contributi alle istituzioni scolastiche paritarie e regionalizzare i fondi statali per il diritto allo studio, anche universitario, oltre a regionalizzare il trattamento economico del personale scolastico.

La Scuola italiana ha bisogno del percorso inverso rispetto a quello prospettato dall'Autonomia Differenziata: ha bisogno di estendere il diritto all'istruzione, che è un diritto di cittadinanza e in quanto tale non negoziabile. Occorre colmare le diseguaglianze, che stanno crescendo: abbiamo una diminuzione preoccupante del numero di iscritti all'università, così come preoccupanti sono i dati Istat sul tasso di abbandono scolastico nel 2017: su una media nazionale del 14 %, nelle isole maggiori e al Sud supera il 20% ed è proprio su queste Regioni che lo Stato dovrebbe investire a lungo termine per non disperdere i ragazzi, e questo obiettivo si può raggiungere ideando e coordinando gli interventi a livello centrale. Nella prospettiva di una scuola fatta a pezzi, le prove Invalsi finiranno per diventare l'unico legame nazionale tra le competenze acquisite, mentre tutto ciò che concerne la formazione del cittadino avrà declinazioni regionali. Siamo certi di aver imboccato la strada giusta?

 

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