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Radiazione dall’albo per illecita gestione di denaro, SU: “E’ legittima, anche se non si indica lo specifico dovere violato”

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Con la sentenza n. 8313 dello scorso 25 marzo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – confermando la radiazione dall'albo inflitta ad un avvocato che aveva illecitamente gestito del denaro – hanno considerato legittima e sufficiente la mera contestazione disciplinare senza l'esatta indicazione di quale fattispecie deontologica si ritenesse violata.

Si è, difatti, specificato che "le previsioni del codice deontologico forense hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e si possono legittimamente ispirare a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività. Ne consegue che, al fine di garantire l'esercizio del diritto di difesa all'avvocato incolpato in sede disciplinare, è necessario che gli venga contestato il comportamento ascritto come integrante la violazione deontologica e non già il nomen iuris o la rubrica della ritenuta infrazione".

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'instaurazione di un procedimento disciplinare a carico di un legale che, in qualità di delegato dal giudice dell'esecuzione in una vendita, aveva effettuato, senza giustificazione, numerose operazioni di prelievo dai libretti delle procedure esecutive.

Il Consiglio distrettuale di disciplina di Campobasso – all'esito della sentenza di condanna emessa nel processo penale avviatosi per i medesimi fatti, qualificati di peculato – infliggeva la sanzione della radiazione dall'albo: in particolare, sulla base dell'accertamento compiuto in sede penale, si contestava al legale l'illecito deontologico di cui all'art. 30 del codice deontologico, senza espressa indicazione di quale dei doveri deontologici ivi contemplati fosse stato violato.

Il Consiglio Nazionale Forense confermava la sanzione, specificando che doveva ritenersi adeguata la sanzione applicata rispetto alla gravità dei fatti. 

 Il legale, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione di legge e l'eccesso di potere, per essergli stata inflitta una sanzione in base a una generica violazione dell'art. 30 del nuovo codice deontologico forense, senza specificazione alcuna del comma rilevante.

In particolare l'uomo si doleva perché né il Consiglio distrettuale di disciplina né il CNF avevano indicato quale comma dell'art. 30 fosse stato violato: il citato articolo 30, infatti, indica come il legale deve gestire il denaro altrui (fattispecie di cui ai commi 1-4), con espressa indicazione, al comma 5, delle (diverse) sanzioni da irrogare in caso di violazione di uno dei differenti doveri indicati nei commi precedenti.

Proprio in relazione alla previsione di una eterogeneità di sanzioni – che il nuovo codice deontologico espressamente indica, sia nel minimo che nel massimo, per ciascuna condotta tipizzata – il ricorrente eccepiva anche l'eccesso di potere in relazione all'applicazione dell'art. 30, comma 5, con specifico riferimento all'erronea irrogazione della radiazione: l'omessa indicazione della norma deontologica violata impediva, infatti, di individuare la sanzione corrispondente.

Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive del ricorrente.

In relazione alla censura inerente alla mancata specifica indicazione del dovere violato, gli Ermellini evidenziano come le previsioni del codice deontologico forense hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e si possono legittimamente ispirare a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività. Ne consegue che, al fine di garantire l'esercizio del diritto di difesa all'avvocato incolpato in sede disciplinare, è necessario che gli venga contestato il comportamento ascritto come integrante la violazione deontologica e non già il nomen iuris o la rubrica della ritenuta infrazione.

Con specifico riferimento al caso di specie, le Sezioni Unite rilevano come l'omessa indicazione del comma dell'art. 30 che si assume essere stato violato dall'incolpato è del tutto irrilevante ai fini della specificità dell'incolpazione: il giudice disciplinare è, difatti, libero d'individuare l'esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali, quanto in diverse norme deontologiche o finanche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme

In relazione alla doglianza avanzata per l'erronea irrogazione della sanzione della radiazione, la sentenza in commento premette che gli organi disciplinari hanno piena discrezionalità, non censurabile in sede di legittimità, in merito alla sanzione da applicare, con l'unico limite che, in ogni caso, la sanzione deve essere adeguata alla gravità e alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale.

Con specifico riferimento al caso di specie, la sanzione inflitta è coerente con l'art. 22, comma 1, lett. d), del nuovo codice deontologico forense, posto che la radiazione – inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile la permanenza dell'incolpato nell'albo, elenco o registro – è adeguata al caso concreto, tenuto conto della complessiva gravità dei fatti, della reiterazione di essi e del precedente disciplinare per fatti analoghi.

La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento del doppio del contributo unificato. 

 

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